sabato 31 marzo 2018

IL SANGUE DEGLI INNOCENTI RICADA SUI LORO ASSASSINI. SIA KARMA

Il male che fai agli animali ti ritornerà indietro raddoppiato

Testo di Tony Curcio

In queste ore più di un milione di agnellini da latte sono stati trucidati per una stupida tradizione, per una stupida festa religiosa. Agnellini morti sgozzati, dissanguati con tutta la sofferenza possibile, con tutta la paura possibile, con tutto il terrore possibile. Che tu sia l'allevatore che li ha cresciuti e poi venduti, che tu sia il trasportatore che li ha portati al macello, che tu sia il veterinario che abbia dato il nulla osta, che tu sia il macellatore  che li ha uccisi, che tu sia il venditore che li abbia venduti, che tu sia colui che li abbia comprati per cibarsene, io non vi auguro il male, come disse il grande Totò "quello che fate a loro, auguro che vi ritorni il doppio".

 

 

 

 

I sepolcri imbiancati che a Pasqua vanno alla messa 




Non sarà la Pasqua a rendervi buoni, bravi, ripuliti e rivestiti! Andate alla messa a prendere per il culo pure Dio, fatevi un esame di coscienza magari in questo periodo e vedrete i pezzi di merda che siete! Ipocriti, falsi, traditori, che Giuda al confronto era un’educanda! Ricettate e rubate al prossimo dalla mattina alla sera e a Pasqua vi sentite santi, ma per favore! Ps: il post è riferito a chi se ne risentirà.
A cominciare da quel pezzo di merda del papa.  

COME E PERCHE' FU INVENTATA LA MENZOGNA DELLA RESURREZIONE

Gli antichi ebrei all'epoca di Gesù si dividevano tra sadducei e farisei. I primi, che  si ritenevano custodi dell'ortodossia, credevano solo nei primi cinque libri dell'Antico Testamento (chiamati Torah o la Legge) ed escludevano conseguentemente l'immortalità dell'anima. Questa invece fu incominciata ad essere introdotta nei libri dei (falsi) profeti, in cui credevano i farisei. E' probabile che sia stata introdotta sotto l'influenza della cultura greca. Il corpo di Gesù deposto dalla croce fu portato in una grotta che eradi proprietà di Giuseppe d'Arimatea che l'aveva predisposta per il proprio sepolcro. Portatovi il cadavere di Gesù la grotta venne poi chiusa con un grande masso. A questo punto non si sa di certo chi abbia trafugato il corpo di Gesù, se siano stati gli stessi farisei con l'intenzione di contrastare i sadducei dimostrando che esisteva la resurrezione dei corpi (cfr. il libro di Daniele, che però, incredibilmente, ammetteva la resurrezione solo per gli ebrei) o siano stati gli stessi discepoli. Di vero si sa che che il corpo fu trafugato e fatto  sparire per sempre o da coloro, i farisei, che avevano interesse a dimostrare la verità della resurrezione o dai discepoli per dimostrare che Gesù era figlio di Dio. Nei Vangeli la sparizione del cadavere di Gesù subì una traduzione miracolistica perché alle donne che per prime scoprirono che il grande masso che chiudeva la caverna era stato rimosso è stata aggiunta la figura di un angelo che disse alle donne di andare a cercare Gesù in Galilea. E' evidente che un solo uomo non sarebbe stato capace di rimuovere il grande masso che chiudeva la grotta. Ma secondo il racconto dei Vangeli sarebbe stato lo stesso Gesù risorto a rimuovere il masso. Cosa impossibile. La cosa strana è che proprio i farisei siano stati rapresentati come avversari di Gesù, che li considerò come impostori, giungendo a chiamarli sepolcri imbiancati. La sparizione del cadavere di Gesù fu all'origine della favola inventata da S. Paolo della resurrezione di Gesù, poi ripresa dai Vangeli, successivi tutti alle Epistole di Paolo. La morte di Gesù, la cui predicazione non prevedeva affatto la sua morte in croce, fu dovuta all'opposizione che egli trovò presso i sadducei, che rappresentavano la casta sacerdotale e non credevano nella venuta di un messia in cui credevano i farisei. Il paradosso è che gli stessi farisei non riconobbero in Gesù il vero messia che avrebbe liberato la Palestina dal dominio romano e per questo preferirono la liberazione di Barabba, che non era un ladrone, come appare nei Vangeli, ma capo dei ribelli al dominio di Roma. Tutte le incongruenze sono dovute unicamente ad una voluta falsa rappresentazione evangelica della vita di Gesù. Dagli stessi Vangeli risulta sempre presente tra le varie donne portanti  il nome Maria (tra cui quello della madre) anche il nome di Maria di Magdala, che una certa esegesi vuole che fosse stata la compagna o la sposa di Gesù, da cui, secondo un racconto che però non ha riscontro storico, avrebbe avuto un figlio, partorito in Gallia, dove Maria di Magdala sarebbe fuggita. E dal figlio di Gesù avrebbe avuto origine la dinastia regia dei Merovingi in Francia. Ma tutto ciò ha poco interesse. L'unica cosa che conta è che il corpo di Gesù fu trafugato e fatto sparire per sempre e che dunque non vi è mai stata alcuna resurrezione. Dunque la Pasqua è solo la rappresentazione di una grande menzogna storica.    
La trasmissione curata da Paolo Mieli con l'intervento dello storico Franco Cardini spiega bene come andarono le cose. 


Interessante anche l'analisi della storia del sepolcro (vuoto) di Gesù in 

LEGGENDA E STORIA DELLE 7 SORELLE Dove è finito il corpo di ...

www.alateus.it/SetteSorelle.pdf
Le pie donne. Matteo cita il nome delle donne che erano presenti vicino alla croce al momento della morte di Gesù: “…..C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di. Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la ...    

venerdì 30 marzo 2018

MALEDETTA PASQUA DI SANGUE (2)


e girato a info@papafrancesco.net

GLI AGNELLI NON RISORGONO A PASQUA


  
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Ci risiamo: è pasqua un’altra volta per le persone di buona volontà, che però non possono ignorare che non solo di resurrezione saremo qui a parlare, perché altre morti incombono che saranno però definitive, senza riscatto né nuove vite davanti. Gli agnelli sono nati da poco e fra pochi giorni saranno teneri al punto giusto. Ancora un po’ di latte dalla mamma, quella che ululerebbe se solo sapesse dove vengono portati i suoi piccoli, partoriti magari nella fantasia di vederli correre nei prati verdi dei loro desideri. E invece  è sui camion che vengono caricati,  ammassati l’uno addosso all’altro  a  belare a un cielo che tanto non si scompone perché se ne frega del dolore di quaggiù, e poi dentro all’inferno: gemiti e  bestemmie, lamenti e imprecazioni, braccia forti e lame affilate, e poi sangue, sangue ovunque. Senza perdere tempo,  perché ce ne sono proprio tanti da legare e poi ammazzare, e per quanto si sia esperti a farlo  a catena di montaggio, un po’ di tempo per sgozzare occorre e sono tanti i cuccioli necessari a soddisfare tutti quelli che l’agnello pasquale, inteso come arrosto, lo considerano irrinunciabile, per quanto a giustificazione non ci siano  certo fame nè digiuni da compensare: è solo che chi ama Dio a quel sacrificio di un innocente sembra non voler proprio rinunciare, non sia mai che, senza l’agnello a riproporlo,  qualcuno si scordi del dolore che Gesù ha sofferto, vittima innocente e senza scampo, inerme e dolorante. Ma anche chi con la metafisica e l’al di là non ha grande dimestichezza e, diciamolo, neppure il benché minimo interesse, non ci sta  a sentirsi escluso: se anche non richiama  l’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo quello che vuole nel piatto, è pur sempre una gustosa incarnazione.
La mattanza degli agnelli non potrebbe neppure essere immaginata nella sua raccapricciante violenza, se non ci fossero i filmati visibili in rete e le ancora timide inchieste televisive a sbarrare la strada ad  alibi costruiti sull’ “io non immaginavo proprio”. Nella mattanza è davvero arduo rintracciare  richiami alla vittima “sacrificale”: qualunque elemento “sacro” è irreperibile, indeclinabile nel terrore degli agnelli davanti a quei laghi di sangue,  incapaci di rivolta, che si orinano addosso per la paura, forse increduli: tutto questo non può essere vero, perché non può esistere nessun Dio così sanguinario da sentirsi appagato dalla carneficina consumata sulla loro carne.  Convinzione ingenua, che non tiene conto delle capacità umane di elaborare spiegazioni per ogni nefandezza e di giustificare ogni ignominia, dotando di senso l’irragionevole. E’ all’uomo sapiente che è riuscita la barbara invenzione della vittima sacrificale, del capro espiatorio, innocente e debole,  da investire con la mission incredibile di togliere i peccati dal mondo, quelli da lui stesso compiuti.
Bene argomenta Andrée Girard con le sue analisi,  illuminanti nel ricercare il bandolo della matassa in alcune delle tante forme di violenza così virulenta nella specie umana. Specie umana in cui l’aggressività, lo sappiamo bene, raggiunge livelli talmente stratosferici da porci costantemente sul baratro dell’autodistruzione. Proprio per arginare il rischio, lui spiega, nel corso della storia l’aggressività, nostra  fondamentale dotazione,  è stata incanalata simbolicamente su qualcuno “altro da noi”, un capro espiatorio, che ne assorbisse una fetta importante. Nella necessità di mettersi al riparo da possibili pegni da pagare,  vendette o ritorsioni, è stato da subito chiaro quanto fosse fondamentale scegliere la vittima tra chi fosse debole, senza diritti, privo di tutele, non minaccioso, impossibilitato a  generare  sentimenti feriti forieri di  successive vendette:  ottimi gli orfani o gli schiavi, per intenderci. Ma col tempo  il meccanismo si è perfezionato: perché non gli  animali non umani, che possono essere totalmente assoggettati, che occupano amplissime zone neppure lambite da diritti, rispetto, giustizia? A loro si può bene affidare il compito di espiare gli errori e le nefandezze nostre, di pagare le colpe al posto dei colpevoli: l’aggressività viene distolta dal consesso umano ed attirata altrove, con l’attenzione rivolta a mettersi comunque al riparo da qualsiasi conseguenza scansando, tra loro,  quelli che sono forti e pericolosi: meglio lasciar perdere leoni o tigri e rivolgersi ad altri più gentili, innocui, inoffensivi: insomma,  quelle vittime ideali, di cui l’agnello, senza colpa e senza forza, è l’esempio più fulgido.
In ogni caso, alla fugace apparizione sulla terra di centinaia di migliaia di agnelli, per restare alle cifre italiane, non verrà posta orrenda fine solo in nome di tradizioni e credenze: altri laicissimi riti nascono e muoiono a tavola, senza sublimazioni di senso, in esclusivo omaggio a piaceri di palato e pancia, con consumi che registrano impennate nel periodo pasquale, ma comunque non hanno tregua nel corso di tutto l’anno. Qualcosa però comincia a smuovere dal profondo un bel po’ di coscienze, come dimostrano le stragi che, per quanto inaccettabilmente diffuse, negli ultimi anni hanno visto i numeri decrescere significativamente, tanto da avere registrato lo scorso anno circa 600.000 agnelli uccisi a fronte dei 900.000 di pochi anni prima. Ben poco da celebrare, perché queste cifre non lo consentono di sicuro, ma un fenomeno è innegabile: le “scriteriate campagne animaliste”, come gli allevatori definiscono rabbiosamente gli appelli a porre fine alla mattanza, possono contare su un meccanismo che vale la pena mettere a fuoco. Per fare del male a un altro, umano o non umano che sia, c’è bisogno di  poter sostenere che quel male lui se lo merita: il nemico di ogni guerra, per facilitare il compito di andare a sterminarlo, prima viene sempre descritto come colpevole, malvagio, pericoloso in modo da sollecitare contro di lui l’odio necessario, spesso connotandolo con epiteti animali ritenuti svilenti: topi di fogna, cani rognosi, scarafaggi, figli di cagna sono chiamati quelli da andare a massacrare, nella certezza che l’identificazione con animali dipinti come tanto repellenti sarà utile a rappresentarli come degni del destino che a quegli animali appunto è sempre riservato. Anche in delitti più casalinghi, ideati in proprio, la vittima viene costantemente insultata e vituperata nel momento stesso in cui viene percossa, ferita, uccisa: si insultano le donne nel momento dello stupro, i senza dimora quando vengono brutalizzati, l’appartenente al clan avversario quando punito. E’ il modo che abbiamo per convincere noi stessi che siamo nel giusto e stiamo compiendo non un atto vile, ma un’azione encomiabile, è un “sto facendo la cosa giusta” tutto a nostro vantaggio. Il meccanismo viene applicato in forma per così dire istituzionalizzata nei confronti di tutti gli animali che quotidianamente assoggettiamo alle più brutali pratiche: dobbiamo dire e dirci che i maiali sono sporchi, brutti, ricettacoli delle peggio inclinazioni per diffamarli al punto da trasformare quasi in atto meritorio, di pulizia, giustificato e condivisibile, il nostro ingabbiarli e scannarli; offriamo una pessima rappresentazione dei polli, costantemente denigrati nel nostro linguaggio; la narrazione della vita dei pesci li deindividualizza, li riduce a peso, neppure a singole entità: solo per iniziare un elenco in realtà infinito. Questa operazione auotassolutoria risulta francamente complicata con gli agnelli: loro non sono sporchi, ma bianchi come il latte; non sono aggressivi, ma totalmente indifesi; non risulta neppure siano stupidi: davanti a loro ci inteneriamo, ci commuoviamo al loro essere indifesi, vorremmo abbracciarli e coccolarli. 
 Un bel problema per allevatori e industria, che qualche difficoltà cominciano a incontrarla nel contrastare i dilaganti manifesti pubblicitari in cui un agnellino belante, occhi nei nostri occhi, sembra implorare di non fargli del male. Cosa opporre alla supplica accorata? Le leggi dell’economia e del mercato, i potenziali passivi delle aziende? Argomentazioni francamente un po’ povere per ritagliarsi uno spazio nel miscuglio di sensi di colpa e intenerimenti che dilagano dentro di noi.
 Non è un caso che la pubblicità, che dai media cartacei e dalla televisione, ci sollecita quotidianamente, con sprezzo ed allegria, a nutrirci di cadaveri di maiali, polli, tonni, si astenga prudentemente dal fare altrettanto con gli agnelli: molto meglio glissare, evitare una pericolosa esposizione della “materia”; e non si insiste tanto nemmeno perché questa “carne tutta italiana” venga introdotta nelle  mense scolastiche, da cui a tutt’oggi pare sia esclusa.
In conclusione, un esercito di vite appena nate sta per l’ennesima volta per essere immolato sull’altare dei nostri credi e dei nostri appetiti, non diversamente da quanto avviene quotidianamente con tutte le altre specie non umane, egualmente sfruttate e martirizzate. Le nuove sensibilità in ascesa mostrano però che, tra le vie che portano ad un cambio di paradigma, ne esiste una  che passa anche dal riconoscimento del valore intrinseco di ogni vita: riconoscere gli altri, ogni altro, nella sua essenza, anziché nella narrazione diffamatoria che tanto spesso facciamo di lui, è atto dovuto nei suoi confronti, lo è esattamente come nei nostri dal momento che, come dice Danilo Mainardi, “le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi”: non verità con cui compiacersi perché bella da enunciare, ma strada tracciata nella direzione di  una nostra trasformazione. Perché, con le parole di Guido Ceronetti,  “tutte le torture, i patimenti, i terrori inflitti agli animali appartengono legittimamente al dolore infinito della storia e ne modificano il senso, se ne abbia uno”.