Dal mio libro Io non volevo nascere
Nietzsche
ritiene che la credenza nell’immortalità sia nata dal fatto
che “la generazione vivente riconosce ogni volta un obbligo
giuridico verso la generazione più antica che aveva fondato la
stirpe…Qui prevale la convinzione che la specie sussista
solo in virtù
dei sacrifici e dell’attività degli antenati e che essi ne
debbano essere ripagati con altri sacrifici e attività…Questi
antenati sopravvissuti come spiriti potenti, non cessano di
assicurare alla specie nuovi vantaggi e nuovi contributi derivati
dalla loro forza. Ma non esiste niente di gratuito per quelle epoche
rozze e povere nello spirito. Con che cosa si possono ripagare?
Sacrifici…Si dà mai abbastanza agli avi? Il sospetto rimane
e aumenta: …esso costringe a un grande riscatto cumulativo, un
qualche mostruoso risarcimento al 'creditore' (il
famigerato sacrificio del primogenito, per esempio, sangue, sangue
umano in ogni caso)…L’antenato finisce necessariamente per
trasfigurarsi in un dio. Forse questa è anche l’origine
degli dei…La nascita del Dio cristiano, come massima divinità
cui si sia giunti fino ad oggi, ha portato sulla terra anche il
maximum
del sentimento di debito…l’umanità martoriata ha trovato
un momentaneo sollievo, quel colpo di genio del cristianesimo: Dio
stesso che si sacrifica per la colpa dell’uomo, Dio stesso che si
risarcisce su se stesso. Dio come l’unico che possa riscattare
l’uomo da ciò che per l’uomo stesso non è
riscattabile – il creditore che si sacrifica per il suo stesso
debitore, per amore (dobbiamo crederci?), per amore del suo
debitore”.1
Freud
ritenne che la credenza nell’immortalità fosse nata da più
cause nel contesto di una religione fondata sul tabù (termine
polinesiano). Innanzi tutto “vi vediamo manifestazioni di
pentimento, di considerazione del nemico (ucciso), di senso di colpa
per avergli tolto la vita. Ci sembra quasi che anche in questi
selvaggi si mostri vivo il comandamento “non uccidere”, che non
può essere impunemente violato, e che era valido anche molto
prima di avere ricevuto le leggi dalle mani di un dio”.
Evidentemente bisognava ritenere che il morto sopravvivesse perché
potesse perdonare l’assassino. Bisognava sottoporsi a riti di
purificazione. Alla testa mozzata si offrivano dei cibi in forma di
riparazione, nel timore che lo spirito del morto potesse vendicarsi.2
In secondo luogo, la morte dei propri familiari poteva creare
nell’uomo primitivo, incapace di distinguere la realtà
esterna dal mondo interiore, un altro senso di colpa, derivante dal
fatto stesso di essere sopravvissuti, come se la morte fosse stata
causata da una loro negligenza. Da qui la necessità di
ritenere che l’anima del familiare fosse sopravvissuta. Ma da ciò
conseguiva un possibile rapporto di ostilità del morto nei
riguardi dei sopravvissuti, i quali, pertanto, si sentivano costretti
a difendersi dalla malvagità dei morti con riti propiziatori
che avevano lo scopo “in quasi tutti i casi di un intenso legame
affettivo” con il morto, pur nell’ambivalenza di un rapporto di
timore e di amore. Da qui nacque successivamente la credenza nei
demoni.3
In terzo luogo, l’animismo, consistente nel popolare la natura di
entità spirituali, nacque dai fenomeni del sonno e dalla
spiegazione che di essi diede l’uomo primitivo, attribuendoli agli
spiriti di uomini morti. “Per gli uomini primitivi una vita senza
fine – cioè l’immortalità – doveva apparire come
la cosa più ovvia. L’idea della morte è stata
recepita assai più tardi e solo con grande riluttanza. Il
primitivo ha reagito… con la formazione di rappresentazioni
dell’anima trasferite poi su oggetti del mondo esterno”,
estendendo l’animismo alle anime degli animali, delle piante e
delle cose. Sull’animismo poggia tutta la mitologia, con la
conseguente arte della magia come tecnica atta ad impadronirsi di una
natura popolata da spiriti. E Freud cita la classica opera di J.
Fraser (Il ramo d’oro)
in cui si dice che “gli uomini hanno preso erroneamente per ordine
della natura l’ordine delle loro idee e si sono immaginati che,
essendo essi in grado di controllare le loro idee, ciò avrebbe
loro permesso di esercitare eguale controllo anche sulle cose”.4
Un esempio di tale controllo è dato dalla convinzione del
primitivo di poter avere maggiore successo nell’attività
della caccia e della guerra quando si forma “un’azione
simpatetica a distanza” tra lui e le sue donne rimaste incustodite,
perché l’infedeltà sarebbe stata causa di fallimento
dell’impresa.5
Dall’animismo, dice Freud, rifacendosi a I
principi della sociologia
(vol.I) di Herbert Spencer, ebbe principio la dualità tra
natura e spirito. Si dovrebbe dire, invece, che tale dualismo derivò
dalla radicalizzazione della distinzione tra natura e spirito, che
nell’animismo non era ancora evidente. L’animismo, precisa Freud,
è sopravvissuto in tutte i fenomeni che riguardano l’attività
dell’inconscio, che si nasconde nei processi dell’attività
psichica e che può dare luogo alla nevrosi. Da qui la tendenza
alla superstizione.
Freud
avrebbe fatto bene a citare anche Darwin, che ne L’origine
dell’uomo aveva
dato una eguale spiegazione dell’origine della credenza negli
spiriti. “Appena le importanti facoltà dell’immaginazione,
della meraviglia e della curiosità, insieme al potere della
ragione, si furono parzialmente sviluppate, l’uomo naturalmente
pretese di capire che cosa stesse accadendo intorno a lui e cercò
vagamente di indagare sulla propria esistenza…E’ anche probabile,
come ha mostrato Tylor (The
Worship of Animals and Plants,
1849), che i sogni possano per primi aver dato origine all’idea
degli spiriti, poiché i selvaggi di fatto non distinguono tra
le impressioni soggettive e quelle oggettive. Quando un selvaggio
sogna, crede che le immagini che gli appaiono provengano da lontano
per fermarglisi davanti…La credenza in agenti spirituali potrebbe
facilmente trapassare nella fede in una o più divinità.
Infatti i selvaggi attribuiscono agli spiriti le stesse passioni, lo
stesso amore per la vendetta o le più semplici forme di
giustizia, e gli stessi sentimenti che essi stessi provano. …Le
stesse elevate facoltà mentali che dapprima portarono l’uomo
a credere in agenti spirituali invisibili, poi nel feticismo, nel
politeismo, e infine nel monoteismo, lo porterebbero infallibilmente,
finché i suoi poteri razionali restano scarsamente sviluppati,
a varie strane superstizioni ed abitudini. Molte di queste sono
terribili a pensarsi – come il sacrificio di esseri umani a una
divinità assetata di sangue… tuttavia è bene
riflettere occasionalmente su queste superstizioni, poiché ci
mostrano quale debito di gratitudine dobbiamo all’aumento della
ragione, alla scienza, alla conoscenza accumulata…Le miserevoli e
indirette conseguenze delle nostre facoltà superiori possono
paragonarsi con gli errori incidentali ed occasionali degli animali
inferiori”.6
Ma Darwin prendeva ad esempio le popolazioni indigene delle Americhe
e dell’Africa, paragonandole ingiustamente ai primitivi degli
albori dell’umanità, che non avevano ancora formato dei
gruppi stanziali e non conoscevano ancora l’agricoltura e
l’allevamento degli animali. Egli, dunque, si riferiva a
popolazioni ormai semicivili del suo tempo, tra cui erano ormai
consolidate ampie forme di comunità tribali fisse sul
territorio, le cui strutture, conosciute dai colonizzatori e dai
viaggiatori, erano fondate su gerarchie, avendo ormai superato la
fase animistica degli uomini cacciatori-raccoglitori. Scrive Darwin a
tale proposito: “Si sa bene che le donne e i bambini degli indiani
nord-americani aiutavano a torturare i nemici. Alcuni selvaggi
traggono un orribile piacere nell’incrudelire sugli animali e, tra
loro, l’umanità è una virtù ignota. Nondimeno,
oltre agli affetti familiari, la gentilezza è comune,
specialmente durante le malattie, tra i membri della stessa tribù
e talora si estende oltre questi limiti. Si possono dare molti esempi
della nobile fedeltà dei selvaggi l’uno verso l’altro, ma
non verso gli stranieri…Le virtù personali, che non
concernono il benessere della tribù, non sono mai abbastanza
apprezzate dai selvaggi, sebbene ora lo siano altamente dalle
popolazioni civili. La massima intemperanza non è affatto
riprovata dai selvaggi”.7
In
tale situazione di ignoranza era naturale che la ragione, ancora
confusa con l’immaginazione, si accompagnasse alla superstizione,
come capita ancor
oggi, e che gli
uomini appartenenti ad altre tribù, fossero ritenute
popolazioni da schiavizzare o da uccidere, con gli stessi metodi
impiegati sugli animali. Era ormai avvenuta la distinzione tra natura
e spirito.
La
stessa separazione non poteva che essersi rinforzata e resa
definitiva nelle prime manifestazioni delle “civiltà”,
come la decantata “civiltà” mesopotamica, in cui, con
l’invenzione della scrittura e con le prime conoscenze
scientifiche, non disgiunte ancora da rappresentazioni mitologiche,
si accentuò e si rinforzò la separazione dell’uomo
dalla natura, ridotta ad oggetto.
Il
controllo della capacità riproduttiva degli animali si
accompagnò al controllo maggiore di quella della donna, a cui
fu imposta la repressione sessuale come espressione di dominio.8
Fu infatti in Mesopotamia che le prime guerre di cui ci rimanga
memoria storica si risolsero con l’uccisione degli uomini adulti e
con la traduzione in schiavitù delle donne e dei bambini, le
prime come riproduttrici di schiavi, i secondi come futura forza
lavoro nei campi dopo essere stati castrati. Tra schiavi ed animali
non vi era differenza.
Ha
scritto Nietzsche: “Quanto ingenuamente e con quanta innocenza si
manifesta il bisogno umano di crudeltà…qualcosa al quale la
coscienza dice sì con tutto il cuore” e che ha alimentato
“la crescente spiritualizzazione e divinizzazione della crudeltà
che corre attraverso tutta la storia della civiltà
superiore…Noi uomini moderni siamo gli eredi di una vivisezione
della coscienza e di una crudeltà contro gli animali
esercitata su noi stessi vecchie di millenni…L’uomo ha guardato
troppo a lungo le sue tendenze naturali con 'occhio cattivo',
cosicché queste hanno finito per legarsi strettamente alla 'cattiva coscienza'. Sarebbe mai possibile un tentativo
opposto ...cioè il tentativo di unire strettamente alla
cattiva coscienza le tendenze innaturali, tutte quelle aspirazioni
alla trascendenza, contrarie al senso, all’istinto, alla natura,
all’animalità, in breve tutti gli ideali che sono esistiti
sino ad oggi, ideali che sono tutti ostili alla vita, ideali che
denigrano il mondo”.
1
Genealogia della
morale, Saggio
secondo, 19.
2
Totem
e tabù,
cap. II, 3 a).
3
Ibid., 3 c)
4
Ibid., cap. III,
2).
5
Ibid., 4).
6
L’origine
dell’uomo, cap. 3
(Fede in Dio- Religione)
7
Ibid. cap. 4.
8
Elizabeth Fischer, Donne:
il primo sesso. Come le donne stanno cambiando il mondo
(1979), Lyra Libri, Como 2000.
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