Ragazzi assassini che escono da casa con un coltello. Mafiosi che pretendono di sostituirsi allo Stato. A sinistra del mio blog appare l'espressione Ordine liberale. Cliccatevi sopra ed entrerete nel sito dentro il quale potrete scegliere l'argomento che preferite. Questo sito (a pagamento al contrario del mio blog) risale al 2009 e con l'aiuto di un tecnico (a cui avevo dato dei dischetti, che poi furono sostituiti dalla pennina) perché vi riversasse molti argomenti tratti principalmente dal mio libro intitolato Scontro tra culture e metacultura scientifica e scelse lui come copertina l'uomo vitruviano di Leonardo. Il sito è una sorta di manifesto che espone quanto sono andato meditando sugli argomenti trattati. Qui mi limito a rilevare quanto sia dispotico e contraddittorio uno Stato che esclude la pena di morte. Molti giuristi e filosofi partono da un ipotetico stato di natura per giustificare la pena di morte perché nello stato di natura ognuno ha il diritto di uccidere il suo offensore facendosi giustizia da sé. Non si capisce perché lo Stato voglia dispoticamente sostituirsi al cittadino che non avrebbe mai voluto perdonare il suo eventuale assassino. Notare la contraddizione: chi si difende contro il suo eventuale assassino viene riposto dallo Stato nello stato di natura, in cui l'assalito ha il diritto di farsi giustizia da sé. Ma se l'assassino uccide una vittima innocente lo Stato restituisce all'assassino il suo diritto alla vita sottraendolo alla pena di morte.
Ciò che segue è tratto dal mio sopra citato libro Scontro tra culture e metacultura scientifica.
Bisognerebbe dunque concludere che Beccaria non sarebbe oggi contrario alla pena di morte almeno per i delitti di mafia, in cui “i disordini tengon luogo di leggi”, o contro i trafficanti di droga, cioè di morte, siano collegati o non con la mafia.
La mafia non può essere combattuta democraticamente, ma sospendendo nelle regioni mafiose ogni forma di rappresentanza politica, esposta localmente ai ricatti mafiosi, e ogni forma di garanzia costituzionale nei confronti delle famiglie mafiose, a cui soggiace anche tutto l’apparato giudiziario, dalle guardie carcerarie ai direttori delle carceri, sino ai magistrati che dovrebbero giudicare i criminali mafiosi, i quali smetterebbero di comandare e ricattare anche dal carcere soltanto se venissero condannati alla pena di morte. Soltanto da morti non potrebbero più comandare e ordinare altre uccisioni. Si sa quali sono le famiglie mafiose, e quando si peschi dentro esse si pesca sempre bene, senza andare tanto per il sottile. Oggi lo Stato fa impiego dei cosiddetti “pentiti”, premiati per le loro “confessioni”. È il risultato, direbbe Beccaria, di uno Stato che, non avendo la forza di difendersi, a causa del suo garantismo nei riguardi delle organizzazioni criminali, cerca di comprarla, mandando in rovina l’edificio dell’ordinamento giuridico, fondato sulla proporzionalità della pena al delitto.
Uno Stato che non voglia intendere ciò è o buffone o connivente con questa feccia di specie solo biologicamente umana. Merito principale di Beccaria è l’avere evidenziato la necessità di “una proporzione tra i delitti e le pene”. Ma proprio tale proporzione sarà rivendicata da Kant contro Beccaria per giustificare la pena di morte.
Oggi nella dottrina penale americana prevale una concezione retributiva della pena che giustifica la posizione di Kant basata sul principio di eguaglianza. La legge del taglione (lex talionis) raccomanda di “fare agli altri ciò che questi hanno fatto a te”, come rafforzativa della regola aurea secondo cui bisogna “fare agli altri
ciò che vorresti fosse fatto a te” (norma evangelica). In base alla lex talionis si ripristina l’eguaglianza che è stata turbata dal crimine È questa la tesi di J. H. Reiman. In base a tale principio il crimine è un attacco alla sovranità dell’individuo che pone il criminale in una posizione di illegittima sovranità su un altro. La vittima ha il diritto, e la società il dovere, di rettificare la posizione del criminale riducendone la sovranità nello stesso grado.
La vittima avrebbe avuto, o ha, il diritto, ma non il dovere, di perdonare chi abbia attentato al suo diritto naturale, rispettando il principio che la vita della vittima innocente non possa essere valutata come inferiore rispetto a quella del suo uccisore.
Una pena alternativa come l’ergastolo (che in Italia di fatto non esiste più) non sarebbe in accordo con il principio di umanità della pena e dell’ipocrita funzione rieducativa di essa. È stato anche scritto: “Chi non avverte che vi è qualcosa di macabro e di beffardo in un processo nel quale la vittima non può più udire la propria voce?…Ma vi è di più, chi uccide con il suo delitto diminuisce in tutti il valore della vita, togliendo a ognuno un po’ di sicurezza di vivere, il che è come dire che lo priva di una parte della sua vitalità…L’esclusione della pena di morte per omicidio è un portato di maggiore civiltà o non è invece il segno di una minore sensibilità morale e di una meno chiara percezione del vero?…Chi con deliberato proposito uccide un uomo deve essere a sua volta ucciso dalla società costituita, che non può sottrarsi al suo obbligo senza macchiarsi di una colpa…È forse giusto che chi uccide non venga a sua volta ucciso? E che gli si infligga invece una pena di carcere che sarà mite in ragione di come saprà difendersi contro un morto”, grazie ad avvocato prezzolato o al solito psicologo o sociologo di turno pronto a trovare tutte le attenuanti generiche e specifiche? Si vuole spesso dimostrare che l’assassino nel momento del crimine fosse incapace di intendere e volere. Ma poi riacquista sempre la lucidità! Si pretende assurdamente che il criminale si riconcili con la società senza tenere in alcun conto la vita dell’ucciso.
Justice, Civilation and the Death Penalty, Justice 1991.
Carlo Cetti, Della pena di morte/. Confutazione a Beccaria, Como 1960, pp. 12-13.
Gli abolizionisti sono proprio coloro che ipocritamente o disonestamente tengono in minor valore la vita umana, stando a difesa anche dei più spietati assassini.
Questo discorso vale anche per gli idioti di Amnesty International e di Nessuno tocchi Caino, che, come direbbe Hegel, alla ragione sostituiscono la “brodaglia del cuore” (Lineamenti di filosofia del diritto, pref.): associazioni di saccenti presuntuosi e arroganti che credono di avere un cervello migliore di quello di tutti i pensatori che abbiamo citato.
A parte la giustizia che bisogna rendere alla vittima, anche se morta, vi è un superiore interesse della società a liberarsi degli assassini che a ritenere “sacra”, come stupidamente si dice, anche la vita di un criminale.
T. Sellin volle dimostrare con un’indagine statistica che la pena di morte negli Stati Uniti non aveva un’influenza frenante sugli indici di morte per omicidio. Gli rispose Isaac Ehrlich, che scrisse che i metodi statistici erano inattendibili, mentre, avvalendosi di diverse ipotesi, si poteva affermare che durante il periodo 1935 ciascuna esecuzione capitale aveva prevenuto il verificarsi di sette o otto omicidi in più. Infatti il criminale, in base alle offerte di mercato, conforma la sua condotta al desiderio di massimizzare il suo guadagno e di minimizzare i costi personali. Quando tra i possibili costi vi è la pena di morte diminuisce il desiderio di massimizzare il profitto. Ma questi sono argomenti utilitaristici che non scalfiscono mimamente il principio secondo cui la vita dell’assassino non deve valere più di quella della sua vittima.
Chi è favorevole alla pena di morte ormai non ha più il coraggio di dirlo pubblicamente o non trova spazio, in Europa, soprattutto in Italia, per affermarne la giustezza perché i mass media, operando una dispotica censura, hanno deciso che i favorevoli alla pena di morte sono dei barbari, che non debbono corrompere i civili.
L’opposizione alla pena di morte vuole essere espressione di superiorità morale, ma è di fatto soltanto espressione di inferiorità giuridica.
Da notare come gli stessi mass media, essendo totalmente privi di alcuna capacità o volontà di discutere sul piano razionale, essendo capaci di fare soltanto affermazioni moralistiche ed emotive contro la pena di morte, gonfi di sentimento e vuoti di ragione, confermino che la morale nasce soltanto dal sentimento e non dalla ragione, perché non trovano altro mezzo di persuasione, giocando sui sentimenti, che
impiegare la telecamera per far vedere il condannato che soffre o l’ambiente della camera della morte, approfittando del fatto che non vi è mai una telecamera pronta a riprendere l’assassino quando infierisce impietosamente sulla vittima innocente. E se le immagini dell’assassino all’opera esistessero, ipocritamente non verrebbero fatte vedere con la scusa di non turbare la sensibilità dello spettatore. Inoltre gli abolizionisti non vogliono misurarsi con il gran numero di sostenitori della pena di morte facendo finta che non esistano o impediscono un pubblico confronto, certamente timorosi di scoprirsi in minoranza. Essi sono anche dei disonesti arroganti, e pretendono di essere rappresentanti del progresso civile, sapendo solo demonizzare verbosamente come incivili chi ha seri argomenti contro di essi.
Sia almeno riconosciuto ad ognuno il diritto di dichiarare se sia disposto a perdonare il suo eventuale assassino, perché lo Stato non si sostituisca alla volontà della vittima innocente.
È contraddittorio che ognuno per legittima difesa possa anticipare il suo aggressore armato uccidendolo, mentre si riconosce allo stesso aggressore che abbia anticipato la vittima il diritto di continuare a vivere.
La legittima difesa presuppone che nel momento dell’aggressione la vita dell’aggressore non disponga più della tutela della legge e che esso si ponga in uno stato di natura, ponendo la sua vita alla mercé dell’aggredito. Non si capisce dunque perché lo Stato restituisca la tutela alla vita dell’assassino soltanto perché questo è riuscito ad anticipare la vittima.
The Death Penalty, The American Law Insitute, Philadelphia 1959.
The deterrent effect of punishment: a question of life and death, American Economics Reviw, 65, 1975.
1 commento:
Caro prof, il suo pensiero non fa la minima grinza, bisognerebbe imporlo con la forza a queste masse drogate di finto-buonismo alla maniera della sinistra radical-chic. Non smetta mai di pensare, di pubblicare e di provare a infondere del buon senso in questo paese ormai quasi perduto.
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