Da un mio manoscritto di circa 700 pagine intitolato Geometria del diritto naturale. La morale come oblio della giustizia. Dall'Antichità a oggi. Manoscritto risalente ad alcuni anni fa e che attende ancora di essere pubblicato. Aggiungo qui che la fondamentale contraddizione di Agostino è la stessa contraddizione di S.Paolo, che da una parte riconosce il valore delle opere e dall'altra affaccia la dottrina della predestinazione perché Dio non può perdere la sua libertà facendosi subordinare dalle opere. Ma con ciò venendo a mancare la ragione del proselitismo cristiano. Agostino accetta solo un corno delle Epistole di S. Paolo, cioè la predestinazione, diventando così involontariamente ispiratore della Riforma di Lutero e di Calvino. Mi sono sempre domandato come Agostino possa ancora essere considerato il maggiore Padre della Chiesa cattolica quando, invece, meriterebbe di essere considerato un pericoloso eretico. Il fatto è che lo stesso cristianesimo nacque dalla contraddizione delle Epistole di S. Paolo, specialmente dell'Epistola ai Romani, che Lutero considerò il documento fondatore del cristianesimo. Si aggiunga l'ulteriore contraddizione derivante dal fatto che Agostino considerò "massa dannata" tutti coloro che fossero rimasti fuori del cristianesimo se Dio aveva già stabilito dall'eternità coloro che si sarebbero salvati. Il nuovo papa Leone XIV, agostiniano, si è mai reso conto di tutte le contraddizioni contenute nelle opere di Agostino? La Controriforma cercò di porre riparo alla contraddizione esistente tra il riconoscere valore alle opere e la predestinazione agostiniana-luterana e si appellò invece al geniale equilibrismo di S. Tomaso, che sostituì alla predestinazione la prescienza per salvare il valore delle opere. Dio conosce il futuro ma lascia libero l'uomo non intervenendo nel suo operare. La grazia è qualcosa in più che facilita le opere di bene.
Non minori illogicità
possono riscontrasi sul tema della libertà, che Agostino affrontò cercando
inutilmente di accordare il libero arbitrio con la predestinazione dovuta alla
grazia di Dio, combattendo, da una parte il determinismo dei manichei, dall’altra
la tesi di Pelagio, secondo cui la salvezza è ottenibile soltanto con le opere,
e non con la grazia. Agostino oscillava tra due opposte esigenze: la
salvaguardia della libertà come fatto non naturale – ché, se fosse naturale,
ricadrebbe nella necessità naturale – ma come grazia divina concessa a tutti, e
la necessità di giustificare la libertà divina a tal punto da non doverla
rendere dipendente dai meriti acquisiti da una volontà umana moralmente libera.
Questa doppia esigenza nasceva dalla necessità di giustificare la dottrina del
peccato originale, che avrebbe corrotto la natura umana e reso necessario
l’intervento della grazia divina come libero dono, non vincolato dall’uso buono
della volontà libera. Nel De libero
arbitrio Agostino, combattendo i manichei, non aveva tenuto conto che la
sufficienza delle opere ai fini della salvezza rendeva privo di conseguenze il
peccato originale, e conseguentemente inutile il sacrificio della croce. Ma,
attribuendo nel De libero arbitrio a
tutti gli uomini la volontà libera come costitutiva dell’anima umana per
volontà soprannaturale, negava il male radicale del peccato originale che
rendeva necessaria la redenzione per la riacquisizione della libertà morale.
Inoltre, escludendo l’esistenza del male “in quanto tutto ciò che esiste è
buono” (Confessioni, VII, 13,19),
Agostino favoriva un atteggiamento di indifferenza tra il peccare e il non
peccare. Secondo Pelagio la grazia si aggiunge alle opere, se queste sono
virtuose. Non è dunque la grazia di Dio che può rendere meritorie le opere.
Tesi, quelle di Pelagio, assai vicine a quelle di Ario, nel loro riferimento
immediato alla morale stoica dell’autoresponsabilità, che si traduce in norma divina
soltanto in quanto norma di giustizia nel suo appello alla ragione naturale.
Pelagio riteneva che il peccato originale non avesse corrotto la natura umana
impedendole di conservare il libero arbitrio indirizzandolo con le opere
meritorie verso il bene, e che, pertanto, Gesù non fosse il redentore, il
figlio di Dio incarnatosi per togliere il male radicale del peccato originale.
Gesù era soltanto un maestro di morale di cui bisognava seguire l’esempio.
Partendo dalla questione del
libero arbitrio, e non, come Ario, dalla questione della natura del Verbo,
ritenuto da Ario una creazione di Dio finalizzata all’incarnazione di Gesù, e
perciò priva della sostanza di Dio, Pelagio arrivava anch’egli a negare la
divinità di Gesù. Agostino, radicalizzando la grazia divina come espressione
del suo sommo arbitrio, finiva, come Ario, con il subordinare la ragione di
Dio, il Verbo, alla sua libera volontà, con la conseguenza di distorcere il
concetto di giustizia appellandosi alle parole di S. Paolo: “Indipendentenmente
dalla legge è stata manifestata una giustizia di Dio, attestata dalla legge e
dai profeti; vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù” (Lett. ai Romani, 3, 2). “Se qualcuno fra
voi si immagina d’esser savio in questo secolo, diventi pazzo affinché sia
savio; perché la sapienza di questo mondo è pazzia presso Dio” (Lett. ai Corinzi, 3, 18). Di fronte alle
ambiguità, già viste, di S. Paolo, che aveva anche scritto che i pagani si
potevano salvare anche con la legge morale inscritta nei loro cuori, Agostino
radicalizza uno dei corni della contraddizione paolina, per aggiungere al
primato della fede quello della predestinazione, che rendeva inutile la stessa
fede, nonché tutto il discorso sulla giustizia. Egli scrive a proposito della
grazia: “ Le opere non producono grazia, ma sono prodotte dalla grazia. Così nessuno
fa il bene per ricevere grazia, ma perché ha ricevuto la grazia opera il bene”
(De diversis quaestionibus ad
Simplicianum, I, quaestio II, 3). Inoltre: “ La grazia non viene elargita a
tutti gli uomini, e colui al quale è data non la riceve in considerazione delle
sue buone opere, né in ricompensa della sua buona volontà” (Epistola 217 ad Vitalem carthaginensem).
Non basta dunque credere in
Cristo figlio di Dio; Dio concede la grazia per una sua giusta decisione. Il concetto
di giustizia è così diventato ormai soltanto una farsa, perché ha
cancellato totalmente qualsiasi appello alla ragione, sostituita dalla volontà.
Dio può esigere, sia l’espiazione del peccato, sia condonarlo, secondo Agostino
(Ibid., quaestio 16). E aggiunge: “ Di chi non ha misericordia, a chi ritiene
che non si debba usare misericordia, egli giudica nel segreto più intimo della
sua giustizia, lontanissimo
dall’umano sentire. I suoi giudizi infatti sono ‘imperscrutabili e ininvestigabili
le sue vie’ (Lett. ai Romani, 11,
33)…Che diremo? Che in Dio vi è ingiustizia, se Egli a chi gli piace richiede
e, a chi gli piace condona, Egli che, in ogni caso, non richiede se non ciò che
gli è dovuto, non dona se non ciò che è suo?” (De diversis quaestionibus, quaestio 16, 22). Volendo essere più
cristiano di S. Paolo, Agostino non solo non riconosce alcuna salvezza fuori
della fede, condannando così tutta l’umanità non cristiana, ma esclude anche
qualsiasi possibilità di salvezza per i cristiani che non siano toccati dalla
grazia.
Partendo da tali premesse
non era nemmeno possibile giustificare nel De
civitate Dei la storia di Roma con spirito messianico, in una asserita
dialettica tra il bene ed il male, tra la città celeste e quella terrena, se la
predestinazione annulla qualsiasi libertà, mentre giustifica il male quale
parte di un disegno divino imperscrutabile. “Questa città celeste, finché è
peregrina in terra, chiama a sé i cittadini di tutte le genti, e in tutte le
lingue raduna la peregrina compagnia; né si preoccupa di ciò che in essi è
diverso nelle costumanze, nelle leggi e negli statuti con cui consegue e si
conserva la pace terrena: non guasta alcuna cosa, non distrugge alcunché, anzi
piuttosto custodisce e asseconda quelle istituzioni che cooperano alla pace
terrena, purché non danneggino la religione per la quale vengono ammaestrati i
popoli nell'adorazione dell'unico, vero e sommo Dio" (De civitate Dei, XIX, 17).
Si può notare come la bontà
delle istituzioni giuridiche venisse vagliata da Agostino in base al loro
accordo con la religione cristiana. L’apparente razionalismo di Agostino (di
radice neoplatonica) è soltanto la maschera di un irrazionalismo mistico
impregnato di contraddizioni.