Ricevo e volentieri pubblico un articolo di un mio corrispondente. Lascio il mio commento dopo tale articolo.
L’INTESA IMPOSSIBILE
I rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica devono essere “regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze” (articolo 8, comma 3, della Costituzione italiana). La prima legge sulla base di una intesa è stata emanata nel 1984. Da quell’anno, a fasi alterne, sono via via state emanate altre leggi sulla base di altrettante intese con molte confessioni religiose. Restano finora esclusi i Sikh, gli Shintoisti, i Testimoni di Geova (che solo hanno sottoscritto un’intesa non approvata dal Parlamento) e vari altri gruppi minoritari..., ma soprattutto l’intero “mondo islamico”.Quest’ultima esclusione esprime nodi
irrisolti di enorme rilievo. Qualcuno ha ritenuto che la mancanza di una
rappresentanza islamica unitaria impedisse l’avvio di trattative con lo
Stato. In realtà il decantato (presunto) pluralismo islamico non
costituirebbe in sé un problema siccome ad esempio col Cristianesimo
sono state sottoscritte ben otto diverse intese (oltre al ben noto
Concordato) e con il Buddhismo due.
Tuttavia il dialogo con l’islàm “italiano” (posto che tale aggettivo -spesso reiterato- abbia giammai senso) ha seguito una strada diversa. Specifiche (e discutibili) ragioni geopolitiche hanno fatto prevalere sulla questione religiosa i temi connessi alla immigrazione straniera e ancor più alla -giustificata-paura del terrorismo islamico. Per questi motivi già nel 2005, imitando e ripetendo scelte adottate da altri Stati europei, il Ministro dell’Interno Pisanu aprì un “tavolo di dialogo” istituendo una prima “consulta per l’islàm italiano”, poi ripresa dal Ministro Amato, che patrocinò nel 2007 anche l’adozione di una discussa “carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione” (Decreto Ministero dell'Interno 23.04.2007 in Gazzetta Ufficiale del 15.06.2007 N°137), nonché una “dichiarazione di intenti per una federazione dell’islàm italiano”. In questo breve scritto [ fonti tratte dalla Rete Informatica ] desidero esporre sinteticamente quanto fatto finora da vari Governi [ circa dal 2004 ad oggi ] per tentare di formare/mantenere una relazione istituzionale con la scomoda presenza islamica, nel quadro di iniziative controverse e discutibili poiché assunte fuori dal canale costituzionalmente più proprio (ossia quello delle leggi sulla base di preventiva intesa ovviamente condotta entro i necessari limiti di rispetto dello Ordinamento Giuridico). Questa linea politico- amministrativa è stata confermata da vari Governi che si sono succeduti nel tempo. Dopo Pisanu e Amato, anche il Ministro Maroni nel 2010 costituì un “comitato per l’Islàm italiano” e, sotto il Governo Monti, venne promossa una più larga “conferenza permanente ‘Regioni, cultura, integrazione’”, che trattava anche la questione islamica. Queste esperienze sono state riprese anche dal Ministro Alfano, che nel 2016 costituì un “consiglio per le relazioni con l’islàm italiano”. L’eccezione islamica (giuridicamente inammissibile) quindi si è purtroppo oramai quasi consolidata secondo una cattiva prassi che coinvolge - significativamente- il Ministero dell’Interno. Nel mese di luglio del 2016 proprio al Viminale si tenne un incontro fra il predetto “consiglio” e un “tavolo di confronto con i rappresentanti delle maggiori comunità e associazioni islamiche presenti nel Paese” (soggetti, questi ultimi, non ben definiti sotto il profilo formale) nel corso del quale si discusse un documento noto come “ruolo pubblico, riconoscimento e formazione degli imàm”. Un tema a sua volta molto controverso. Un esperimento di formazione degli “imàm”era stato già condotto in Italia nel 2011. Si trattò di un progetto molto discutibile, poiché assegnare a soggetti pubblici la formazione religiosa dei ministri di un culto assume caratteri incompatibili con la non-negoziabile laicità dello Stato, il quale certamente non ha -e non deve avere- competenze “teologiche”. Va visto quindi con favore il fatto che il Ministero dell’Interno abbia poi deciso di correggere il tiro e avviare un generico corso di informazione sulla normativa italiana in materia di libertà religiosa rivolto a “leader- religiosi” non cittadini euro-comunitari, di recente ingresso in Italia, appartenenti a tutte le confessioni religiose ancora senza intesa. Il 5 novembre 2015 è stato poi sottoscritto dall’unione delle comunità islamiche in Italia (una delle associazioni ovviamente private dell’Islàm italiano) con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, un interessante protocollo volto a favorire l’accesso di mediatori culturali e ministri di culto negli Istituti Penitenziari, anche al fine di guidare momenti collettivi di preghiera (adesso, pare, per lo più presieduti da detenuti che svolgono impropriamente la funzione di “imàm”). Infine, il 1 febbraio 2017 nove soggetti sedicenti rappresentativi dell’islàm italiano hanno sottoscritto un “patto nazionale per un islàm italiano”.
Un documento redatto con l’ausilio del consiglio per i rapporti con l’islàm italiano [ lo stesso soggetto altrove denominato “consiglio per le relazioni con l’islàm italiano” e recepito dal Ministero dell’Interno]. Quest’ultimo atto prosegue il cammino avviato e vede in sostanza il coinvolgimento dello Stato nella promozione di un soggetto islamico nazionale, che a sua volta cerca di raccogliersi intorno a punti di incontro ben definiti e -in un certo senso- sostenuti dallo Stato. A questo riguardo non si possono non esprimere alcune perplessità di carattere tecnico-giuridico. Innanzitutto per la deplorevole tendenza consolidata a gestire quelle relazioni con l’islàm in un contesto eccezionale e diverso da quello riservato a tutte le altre Confessioni religiose [si veda le proposte di legge Santanchè-e-altri, del ~2017 poi giustamente respinte/ritirate]; e poi per l’improprio richiamo alla legge 1159 del 1929 –nota come “legge sui culti ammessi”– quale fonte di riferimento (?) per il “riconoscimento” dei soggetti religiosi di ispirazione islamica. Si prende atto con soddisfazione che il Governo attualmente in carica non ha manifestato alcun interesse ad avere rapporti particolari con gli islamici che vivono in Italia, determinando di fatto la estinzione dei vari -criticabilissimi e inutili- "carte", "consigli", "consulte", "patti", "protocolli", "tavoli", ... .Qualcuno in proposito ha osservato che: “[…] in mancanza di una buona normativa che stabilizzi e chiarifichi definitivamente le relazioni tra le parti (al di là di lodevoli promulgazioni di manifesti-culturali e carte-di-intenti-e-valori) non si potrà impedire che carsicamente i diritti negati o affievoliti, sostenuti dalla forza dei numeri, cerchino comunque percorsi possibili per la loro affermazione nella vita di ogni giorno. [...]Ma quelle sono solo ciance fifo-islamiche. La “buona-normativa” già esiste = è la Costituzione (e sottostanti codici, pre-leggi e leggi applicabili); quanto al “carsicamente” e alla “forza-dei-numeri” si può solo osservare che il principale prezzo per la difesa della Civiltà è la vigilanza. E che l’islàm ( “italiano” ?! ) non può in Italia rivendicare di occupare un posto che non ha e non può avere.
La pratica osservanza dell’ ISLÀM ( inteso nelle sue due declinazioni principali = "islàm-sunnita" ed "islàm-sci'ita" che rappresentano il 98 % circa della popolazione islamica mondiale) non è compatibile con l’ Ordinamento Giuridico italiano, siccome detta pratica osservanza implica prevalentemente di commettere atti illeciti (riferimento al Codice Penale e norme sottostanti), o per lo meno atti contrari e in contrasto con molti regolamenti amministrativi (riferimento al Codice Civile e norme sottostanti) [*].
Il dialogo istituzionale con l’islàm “italiano” non deve svolgersi in sedi eccezionali e diverse da quelle previste dalla Costituzione, e deve su di questa basarsi. Non sono possibili alternative serie. All’islàm -attesa la sua totale incompatibilità col nostro Ordinamento
Giuridico- non si possono e non si devono concedere privilegi. La sicurezza si ottiene e mantiene anche vigilando ed agendo severamente, garantendo libertà e trattamenti eguali per tutti, nel rigoroso rispetto del principio fondamentale di laicità dello Stato e del vigente Ordinamento Giuridico. La conclusione (equivalente al titolo del presente scritto) , pertanto , è agevole.
GianCarlo MATTA IL POLEMISTA POLEMOLOGO
[*] CONFRONTO SINOTTICO DI FLORILEGIO CORANICO CON NORME ITALIANE RIFERIBILI.
Mio commento, tratto dalla prefazione ad un mio prossimo libro intitolato Il mondo al oicsevor (rovescio)
La
superiorità storica dell’Europa consiste
- anzi, purtroppo, consistette - nell’aver fatto della non
identità della conoscenza scientifica e del diritto naturale la sua identità
come identità negata, cioè universale, subordinando ad essa ogni identità culturale.
La comunità degli scienziati ha sempre sovrastato le divisioni e le continue
guerre tra Stati europei”. Alla luce di questa non identità europea si deve
affrontare il male che maggiormente oggi affligge l’Europa, e più in generale
il mondo occidentale, cioè la presenza invadente dell’islamismo. Aspetto del
tutto trascurato da Vannacci. Un islamico proveniente da Stati islamici, come pure un islamico nato
etnicamente italiano ma convertitosi
all’Islam, con ciò rinunciante al suo essere etnicamente italiano e, più
largamente, al suo essere europoide o caucasoide, deve giurare, come minimo,
sulla Costituzione italiana perché ritenuta superiore a tutte le norme
contenute nel Corano, contenente frasi che istigano alla violenza contro gli
infedeli, sino a giustificare l’omicidio di massa, in grave contrasto, e perciò
non conciliabile, con la Costituzione.
Gustavo Zagrebelsky,
professore emerito di diritto costituzionale all’Università
di Torino, ex presidente della Corte Costituzionale, opinionista del quotidiano
La Repubblica, è stato relatore
(il 20 novembre 2000) di una sentenza
pazzesca.
Egli, partendo “dai
principi fondamentali di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione (art.3 Costituzione) e di eguale libertà davanti
alla legge di tutte le confessioni religiose – ma i costituenti, ignoranti,
avrebbero dovuto scrivere “religioni” perché
le confessioni sono interne ad
una religione – aggiungendo che “non può assumere
alcuna rilevanza il dato quantitativo della adesione più o meno diffusa a questa o a quella
confessione, religiosa”, e precisando che “la posizione di equidistanza e
imparzialità è il principio di laicità” dello Stato, “caratterizzato in senso
pluralistico”, ha concluso assurdamente, in contrasto con il principio della
laicità dello Stato – e senza percepire minimamente la contraddizione
– che “il ripristino dell’eguaglianza violata (con l’art.402 del Codice Penale)
possa avvenire non solo abolendo
del tutto la norma che determina
quella violazione, ma anche estendendone la portata per ricomprendervi i casi discriminati”, convinto che “il
principio di laicità non implichi indifferenza e astensione dello Stato dinanzi alle religioni,
ma legittimi interventi
legislativi a favore della libertà di religione”.
Sulla base di questa scriteriata sentenza firmata da 15 idioti, Dio, anche se per gli atei non esiste, è stato
trasformato in una pluralità di soggetti giuridici, diversi per ogni religione, e i seguaci
di ogni religione sono stati riconosciuti, per dirla con Montesquieu, avvocati di Dio, che in tal modo, nella sua pluralità
giuridica, avrebbe bisogno
degli uomini per difendersi con denunce. “Il male in questo caso è venuto dall’idea che
bisogna vendicare la divinità”, scrive Montesquieu (Lo spirito delle leggi, XII, 4). E ancor prima il giusnaturalista
cristiano Samuel Pufendorf separando il diritto naturale dalla teologia morale
della religione rivelata,
rivendicava il diritto
di essere atei e di bestemmiare (De
habitu religionis christianae ad vitam
civilem, 1686, par. 7).
Zagrebelsky e gli altri
14 deficienti della Corte Costituzionale non hanno capito che con la loro sentenza
anche la setta religiosa più pazza avrebbe
diritto ad una tutela penale. Come i seguaci della sanguinaria dea Kalì. D’altra parte i 15 hanno mancato di citare
il II comma dell’art. 8 della Costituzione che recita: “Le confessioni
religiose diverse da quella cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non
contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”.
Prescindo dall’errore di definire “confessione” una religione, stando la
confessione all’interno di una religione.
Si evince che l’islamismo, non
potendo non trarre un suo statuto dai
comandamenti del Corano – compresi
quelli che sono una patente
istigazione a delinquere
( in contrasto con l'art.414 Codice Penale) in quanto predicano la violenza contro gli infedeli
sino all’omicidio di massa - avrebbe uno statuto contrario all’ordinamento giuridico italiano. Hanno mai letto il Corano i 15 scriteriati che hanno
firmato la sentenza? Se non l’ hanno letto
sono degli ignoranti che hanno preteso di giudicare su ciò che ignorano. Se l’hanno letto hanno riconosciuto pari dignità ad una religione
il cui libro giustifica il terrorismo islamico. Il terribile pasticcio a cui sono pervenuti i 15 scriteriati è causato da due motivi: 1) l’avere contraddetto il
principio della laicità dello Stato attribuendo una tutela penale ad ogni
religione, mentre avrebbero dovuto ignorarle tutte per quanto riguarda le
credenze religiose in senso stretto, non potendo esistere il reato di vilipendio di una religione, anche perché il termine
“sacro” non può far parte del linguaggio della politica in uno Stato laico e
liberale; 2) l’avere ignorato che ogni religione nei suoi statuti, cioè in quei
principi che riguardano, non i dogmi religiosi in senso stretto, ma l’esercizio del culto
esterno nell’opera di proselitismo, non deve essere in contrasto con
l’ordinamento giuridico.