La
Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati recita: Il
rifugiato è colui "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi
di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale
o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e
non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di
questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese
in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non
vuole tornarvi per il timore di cui sopra".
Come si vede, non vi è alcun riferimento ai
rifugiati di guerra ed economici. Un perseguitato politico, per esempio, ha
diritto d'asilo. Ma non possono accampare diritto d'asilo i rifugiati di guerra
(provenienti da Paesi in cui vi siano guerre civili, come in Somalia, in
Eritrea, etc.) e i rifugiati economici.
I disonesti, di fronte alla politica dei
respingimenti, hanno dichiarato che prima si sarebbero dovute verificare le
domande di asilo. Come se fosse possibile distinguere tra aventi e non aventi
diritto d'asilo trattandosi di fuggitivi provenienti dagli stessi teatri di
guerra, che sono affari loro, se hanno voluto l'indipendenza.
Se
l'Europa (già affollata dagli europei) avesse il dovere di accogliere i rifugiati di guerra ed economici provenienti
da tutti i Paesi del mondo ove vi siano fame o guerra, si voterebbe alla sua
autodissoluzione. E la Turchia sarebbe
ben contenta di spedire in Italia, ventre molle di un'Europa senza coglioni, ma
con governi coglioni, gli odiati Kurdi. A tutti i folli della politica che
blaterano di doveri morali e di soccorsi umanitari (con il tam tam della
Chiesa) bisognerebbe domandare su quali basi essi pretendano di doversi fare
carico dell'assistenza ai rifugiati di guerra ed economici. Per quanto riguarda
i Paesi africani (in cui vi sono farse di governi, incapaci e corrotti) si può
dire che essi hanno voluto la bicicletta (l'indipendenza). E dunque che
pedalino senza venire poi ad affollare ancor di più l'Europa. Ad essi sarebbe
convenuto rimanere sotto governi europei, per richiedere il diritto di
cittadinanza in quanto appartenenti a province africane.[1] I
soliti idioti (o disonesti) dicono che anche gli italiani sono stati un popolo
di emigranti. Ma allora l'emigrazione avveniva provenendo da spazi ristretti
verso spazi larghi (gli Stati Uniti, l'Argentina, il Brasile etc.). Ora sta
avvenendo il contrario. Da grandi spazi, dell’Africa e dell’Asia, verso piccoli
spazi, dell’Europa già affollata. Di
questo passo gli europei se ne dovranno andare per lasciare il posto a questi
nuovi invasori, che più sono poveri e più sono capaci di fare l'unica cosa che
sono capaci di fare: far figli come conigli in allevamento, aumentando la fame
nel mondo.
.
Se non si
sostituisce al folle jus soli l'jus sanguinis come fondamento
della cittadinanza – con eccezioni per particolari benemerenze – si deve
accettare l'assurdo di un neonato che acquisti la capacità di estendere ai
genitori, anche se clandestini, la cittadinanza, mentre, in alternativa, i genitori,
se non volessero abbandonare il neonato a causa della loro espulsione,
dovrebbero portarlo con sé nel Paese di origine vanificando la cittadinanza
acquisita dal figlio, che avrebbe, tuttavia, una doppia cittadinanza, quella
acquisita e quella dei genitori. Ciò in contrasto con il principio dell'jus
sanguinis sulla base del quale la legge italiana assegna la cittadinanza italiana al figlio di una
coppia di italiani nato in un Paese straniero.
L’Europa
vive oggi sotto il ricatto del terrorismo islamico.
Nel 1989 fondai una lista elettorale intitolata "Difesa del lavoro contro le immigrazioni clandestine", impiegando il titolo di una legge del governo Craxi. Mi piovvero anche dai giornali nazionali accuse fuori luogo di razzismo. Non fui ascoltato, anche perché non riuscii a
raggiungere una notorietà che mi consentisse di essere ascoltato. Coloro che
hanno avuto successo in politica sono i veri falliti, responsabili della situazione
di caos in cui ora versiamo anche a causa di una folle politica
dell’accoglienza. Dal 1994 ho smesso di votare non riconoscendomi né a destra
né a sinistra.
Aveva scritto Platone nelle Leggi a proposito dell’immigrazione:
“Dopo vent’anni” - troppi – “gli immigrati prendano la loro roba e se ne
vadano”. Già Platone aveva capito il pericolo di una immigrazione permanente,
che avrebbe potuto espropriare gli ateniesi della loro politica e della loro
identità se fosse stata concessa agli immigrati la cittadinanza.
La morale ideologica, che propaganda la
società multirazziale, come se fosse un destino, e non il disegno di una follia
politica, alimenta nuove malattie derivanti dall'incrocio di genomi che da
sempre erano rimasti isolati In una società multirazziale aumenta la
variabilità genetica, e conseguentemente l'incidenza delle mutazioni, con la
corrispondente possibilità di aumento del numero di nuove malattie ereditarie,
che non comparirebbero se i genomi rimanessero isolati. Una popolazione chiusa,
come quella dell'Islanda, si troverà avvantaggiata quando si arriverà alla
terapia genica delle malattie.
Le generazioni future, se continuerà la follia
ideologica della società multiculturale e multirazziale, dovranno maledire le
conseguenze di tale follia. Se ne accorgeranno nel mingere. Soprattutto se
verrà attribuita la cittadinanza agli stranieri nati in Italia e a coloro che
siano residenti da un certo numero in
Italia. Non sono capaci questi folli della politica di capire – oppure lo
capiscono ma antepongono la morale del buonismo alla politica se non sono dei disonesti che vogliono
prepararsi un pacco di voti a sinistra
sperando che gli ex clandestini diventino cittadini – che essi stanno mettendo
in essere la teoria di Marx dell'“esercito di riserva” di disoccupati che serve
a tenere bassi i salari per aumentare il profitto delle imprese. E oggi questo
“esercito di riserva” è già costituito dagli ex clandestini regolarizzati,
pronti a prendere il posto di lavoro dei licenziati perché disposti ad avere
salari più bassi. Se gli immigrati avranno la cittadinanza la situazione peggiorerà perché la
disoccupazione si estenderà anche per i
posti di lavoro socialmente più qualificati.
E' evidente, infatti, che i figli degli ex clandestini non si
adatterebbero a fare i lavori che – si dice –
gli italiani disoccupati non vogliano fare , e aumenterebbero la
concorrenza per i lavori socialmente qualificati. Non sapendo resistere alla
coalizione cattocomunista, anche la cosiddetta destra vorrebbe estendere la
cittadinanza agli ex clandestini. In tal modo gli ultimi arrivati, divenuti
cittadini, avrebbero gli stessi diritti degli italiani che hanno avuto come
antenati coloro che, nell'arco di secoli, per una lunga serie di generazioni,
combatterono per l'Italia, anche con sacrificio della vita, sino alle due
guerre mondiali. Ognuno eredita anche le benemerenze dei suoi avi, che
verrebbero vanificate se si concedessero eguali diritti agli ultimi arrivati,
anche se non abbiano particolari benemerenze.
Purtroppo la classe operaia è stata sostituita dalla falsa sinistra con
la classe degli sbandati, dei drogati, degli omosessuali, dei frichettoni dei
centri sociali, degli immigrati con o senza lavoro, complice di una politica
che va a danno della classe operaia. Una sinistra traditrice di Marx. E' un
paradosso.
Si sta ripetendo quanto Montesquieu aveva
rilevato in Considerazioni sulle cause dell'ascesa dei Romani e della loro decadenza
(cap. 18), spiegando che una delle cause della decadenza dei Romani fu
l'accoglimento dei barbari come federati e la loro inclusione negli eserciti:“I
Romani dovettero cercare di placare con il danaro i popoli che minacciavano
un'invasione. Ma la pace non è cosa che si compri perché chi l'ha venduta una
volta non è in grado di farla ancora comprare...I barbari assoldati (negli
eserciti) dai Romani...abituati a cercare più il bottino che l'onore, erano
insofferenti della disciplina militare...Un ministro o qualche altro potente
ritenne utile, per avidità, per desiderio di vendetta o per ambizione, far
entrare i barbari nel territorio dell'Impero, non esitando ad abbandonarlo al
saccheggio e alla devastazione”. Aggiunge Montesquieu in una nota che “ciò non
deve meravigliare se si pensa alla loro vicinanza con popoli che erano stati
nomadi, che non conoscevano alcuna patria e che spesso si accordavano con il
nemico che li aveva vinti per lanciarsi contro il loro stesso popolo”.
Si aggiunse poi la Chiesa, che con il voler
convertire i barbari che invadevano l'Impero, cooperò con la sua predicazione a
demotivare la resistenza e la difesa dei confini dell'Impero.
Oggi si sta ripetendo lo stesso fenomeno
dell'antichità.
1) Da una parte la politica dell'accoglienza
che crede di poter integrare gli islamici, pur essendo questi senza patria
perché si sentono appartenenti all'Islam più che ad uno Stato, e - al contrario
dei barbari che invasero l'Impero, che si convertirono spontaneamente al
cristianesimo – non sono convertibili, non dico al cristianesimo, ma ad una
concezione laica dello Stato. Per gli islamici vale quanto lo storico Giorgio
Falco (La Santa Repubblica cristiana,
cap.V) scrisse riferendosi alla forzata coabitazione di Goti e Romani: “Essi
dovevano formare due società distinte, rispettivamente giustapposte o sovrapposte”. Nonostante fossero entrambi
cristiani, ma i primi ariani e i secondi cattolici. Due società parallele con
netta separazione etnica, con tribunali separati e Chiese separate, con
proibizione di matrimoni misti, secondo la politica intrapresa da Teodorico
(493-526). Questo fu il risultato dell'avere accettato i barbari entro i
confini, come fece, per esempio, Costantinopoli dopo il disastro della
battaglia di Adrianopoli (378), che indusse l'imperatore Teodosio ad
incorporare i vincitori Visigoti nell'esercito con un “patto di alleanza”
accettando la condizione che essi conservassero i loro diritti e i loro
costumi. La conseguenza fu che
successivamente l'Impero d'Oriente, pur di liberarsi dei Visigoti, del
tutto inaffidabili perché non integrabili, spregiudicatamente li dirottò verso
Occidente, con il conseguente sacco di Roma (410), prima che essi stabilissero in gran parte della Gallia
e della Spagna. E quando il generale romano Oreste nominò come imperatore il
figlio Romolo, detto ironicamente Augustolo, Odoacre, capo delle milizie
barbariche, sconfisse Oreste e depose il figlio dichiarandosi re d'Italia e
ponendo fine, anche nominalmente, all'Impero d'Occidente.
Al contrario, l'Impero d'Oriente riuscì a
sopravvivere perché conservò una omogeneità culturale in cui, sulla base di una
concezione cesaropapistica del potere,
l'imperatore era anche capo della Chiesa e perciò garante dell'unità religiosa.
La scissione religiosa tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli fu la
causa maggiore della debolezza dell'Impero d'Oriente (bizantino da quando il
greco divenne lingua ufficiale), lasciato solo dal Sacro Romano Impero di
fronte ai ripetuti assalti degli arabi e dei turchi, con la fine dello stesso
Impero bizantino e con la conquista turca di Costantinopoli (1453). Il
cristianesimo, con le sue scissioni interne, fu vittima più di se stesso che delle armi islamiche.
2) Dall'altra l'odierno ecumenismo
interreligioso della Chiesa cattolica che ha posto le basi di una sua autodissoluzione,
mentre, contraddittoriamente, rivendica le radici cristiane dell'Europa e ne ha
sempre chiesto il riconoscimento nel Trattati europei, prima di Nizza (2001) e
poi di Lisbona (2007).
Una Chiesa schizofrenica, che coopera
all'autodissoluzione dell'Occidente con la politica d'accoglienza degli
islamici, molto peggio dei barbari germanici perché non convertibili alle
tradizioni occidentali.
E' stupefacente il fatto che oggi la stessa
Chiesa, dimentica della sua storia, si richiami alla libertà religiosa per
alimentare la propaganda islamica, andando contro lo stesso Vangelo, perché fa
finta di ignorare le frasi di Gesù: "chi non è con me è contro di me"
(Matteo, 12, 30);"Non pensate ch'io sia venuto a metter pace; non son
venuto a metter pace ma spada" (Matteo, 10,34). Ove "spada" ha
un significato metaforico, e non fisico, come nel Corano, ove la spada serve
per massacrare in non credenti in Allah. Non valgono a favore degli islamici
nemmeno le parole meno restrittive che Gesù rivolse ai discepoli: "Chi non
è contro di noi è per noi" (Marco, 9,40). Se ne deduce che i veri
cristiani dovrebbero dire, quanto meno: chi è contro di noi non è per noi.
Infatti, in base al Corano, tra gli infedeli, da combattere, sono compresi
anche i cristiani, soprattutto per avere concepito la trinità e per avere
considerato Gesù figlio di Dio, invece che solo uomo. Né gli islamici perdonano
ai cristiani di avere scritto che Gesù morì in croce e risorse. Secondo essi in
croce morì un sosia di Gesù. Solo un pazzo poteva scrivere una cosa simile.
[1]
Così considerava l'Angola e il Mozambico il dittatore del Portogallo Salazar.
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