Io sono nato per odiare, non per amare. Perché "se si ha il diritto di amare si ha anche il diritto di odiare" (Oriana Fallaci). E soltanto odiando con tutte le forze un mondo di violenza, di ingiustizie contro i più deboli, gli indifesi, soltanto odiando i vigliacchi malati di antropocentrismo, le menzogne delle religioni propagatrici di violenza, soltanto odiando una umanità fatta di impostori, di gente che vive per far danaro, anche sfruttando a morte la vita animale, si può veramente amare un ideale di vita migliore, fondata, non sulla morale, sempre soggetta al relativismo delle tradizioni culturali, anche le più aberranti, ma sul diritto naturale, metaculturale. Odio coloro che amano i piaceri della gastronomia preparata dai "pasticceri di cadaveri" (Plutarco). Odio gli impostori che mangiano carne ma non sarebbero mai capaci una volta nella vita di ricavarsi da sé la bistecca in un mattatoio uccidendo, dissanguando, spellando e squartando l'animale di cui si cibano. Credono di avere le mani monde di sangue, mentre, da mandanti, le hanno più sporche di quelle dei macellatori che se le sporcano per gli impostori. Ma ne uccide più il palato che la spada. Troppo facile amare il bene senza agire per combattere il male. A causa di quasi tutta l'umanità sono stato reso indifferente alle sofferenze umane. Perciò sono costretto ad odiare anche questo papa, che da impostore ha scritto l'enciclica Laudato si' rinforzando una concezione antropocentrica della natura tratta da quel pessimo maestro che fu il carnivoro Francesco d'Assisi (morto a 44 anni), invece di ispirarsi al vegano S. Francesco da Paola (morto a 91 anni), di tutt'altra stoffa e da questo papa sempre ignorato. Mai una frase che ponesse fine all'identificazione della Pasqua con una strage di agnelli. L'odio che ho per questo papa non ha limiti. Ecco un'immagine con cui giustifico questo odio. Ecco la vera immagine della Pasqua. Il sangue di questi innocenti ricada pertanto con odio anche sui loro mandanti, a cominciare dal papa.
La Pasqua è orribile
Testo di Maria Grazia Capoferri Bersini
Dei bimbi. Sottratti alle madri...legati alle zampe per la pesatura illegale.
Esserini sensibili. Provate ad immaginare il dolore...la paura, per
poi essere assassinati a causa vostra!
3 frasi di Albert Einstein che possono cambiare il mondo | [Ifeelgood.it]
QUESITO EVANGELICO
pietromelis.blogspot.com/2014/04/quesito-evangelico.html
E' risorto!
E poi, era anche un po' stressato per la nottataccia precedente.
Quanto segue è tratto dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica. L'Occidente e il diritto naturale. Dedicato Alla memoria di Albert Einstein ideale di una umanità metaculturale. E A tutti gli animali vittime della violenza dell'antropocentrismo.
Schopenhaur (Il
fondamento della morale, 1840, § 19, 7-8) scrive che “bisogna avere tutti i
sensi ottusi o essere totalmente cloroformizzati dal fetore Giudaico (corsivo di Schopenhauer, che usa sempre
l’espressione foetor Iudaicus) per
non vedere che nell’animale e nell’uomo l’essenza principale è la stessa e ciò
che li distingue non è nel primario, che nell’uomo come nell’altro è la volontà
dell’individuo, bensì nel secondario, nell’intelletto, nel grado di facoltà
conoscitiva, che nell’uomo, aggiungendosi la facoltà della conoscenza astratta,
chiamata ragione, è più alto…A questi occidentali e giudaizzati spregiatori
degli animali e idolatri della ragione bisogna rammentare che, come essi sono
stati allattati dalla loro madre, anche il cane lo è stato dalla sua. Non si
può dubitare che…anche l’idea di un dio diventato uomo (Avatar) venga
dall’India e attraverso l’Egitto sia arrivata in Grecia, di modo che il
cristianesimo sarebbe un riverbero della luce originaria indiana dalle rovine
egizie, caduto però purtroppo su suolo giudeo…La pietà verso gli animali è
talmente legata alla bontà del carattere da consentire di affermare
fiduciosamente che l’uomo crudele con gli animali non può essere buono. Questa
compassione proviene dalla medesima fonte donde viene la pietà verso gli
uomini…la colpa
è tutta del fetore Giudaico che qui
pervade ogni cosa…”.
In Parerga e
Paralipomena (1851) Schopenhauer scrive: “Un errore fondamentale
inspiegabile del cristianesimo…è il fatto che esso, contrariamente alla natura,
ha staccato l’essere umano dal mondo
degli animali, al quale esso essenzialmente appartiene dando valore
esclusivamente all’uomo e considerando gli animali addirittura come cose, mentre il brahmanesimo e il
buddhismo, fedeli alla verità, riconoscono decisamente la palese parentela
dell’uomo, come in generale con l’intera natura, così anzitutto con la natura
animale e, mediante la metempsicosi e in altri modi, rappresentano l’essere
umano come collegato strettamente al mondo degli animali…Il suddetto errore
fondamentale è però la conseguenza della creazione dal nulla, secondo la quale
il creatore (capp. 1 e 9 del Genesi)
consegna all’uomo affinché li domini,
cioè faccia di essi quello che vuole, tutti gli animali, come se fossero delle
cose e senza alcuna raccomandazione di trattarli bene…Questo è di nuovo soltanto
un simbolo della loro completa dipendenza dall’uomo, vale a dire della loro
privazione di ogni diritto…Simili storielle mi fanno l’effetto della pece e del
fetore Giudaico. Ciò dipende
dall’opinione ebraica che considera l’animale come un prodotto fabbricato ad
uso e consumo dell’uomo”. Schopenhauer cita un passo dei Proverbi di Salomone: “il giusto ha pietà del proprio bestiame”. Ma
osserva Schopenhauer: “Avere pietà! Non già pietà, ma giustizia si deve
all’animale, e nel maggior numero dei casi se ne resta debitori in Europa,
questa parte del mondo impregnata dal fetore
Giudaico…Tuttavia che cosa ci si può aspettare dal volgo se vi sono
scienziati e perfino zoologi che, invece di riconoscere l’identità, loro
intimamente connessa, tra uomo e animale, perciò che riguarda l’essenziale,
polemizzano contro colleghi onesti e ragionevoli che includono l’essere umano
nella rispettiva classe degli animali e rilevano la grande somiglianza di esso
con lo scimpanzé e l’orango?…Evidentemente è giunta l’ora di porre fine in
Europa alla concezione ebraica della natura, almeno riguardo agli
animali…A dispetto
di ogni mitologia giudaica e intimidazione dei preti, bisogna che anche in
Europa, finalmente, si imponga una verità, immediatamente certa e di per sé
evidente per ogni persona di sano intelletto non obnubilato dal fetore Giudaico, una verità che non può
essere più a lungo celata: che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti
principali ed essenziali sono esattamente la stessa cosa che noi, e che la
differenza risiede soltanto nel grado di intelligenza, cioè di attività
cerebrale”.
Rousseau nel Discorso
sull’origine e sui fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini (1754)
aveva scritto: “Io vedo in ogni animale …esattamente le stesse cose che vedo
nella macchina umana, con questa differenza, che la natura fa tutto da sola
nelle operazioni dell’animale, mentre l’uomo collabora alle sue come agente
libero…Ogni animale ha delle idee, dato che ha dei sensi, e fino a un certo punto
coordina anche le sue idee; da questo punto di vista l’uomo differisce
dall’animale solo quantitativamente. Alcuni filosofi hanno anche sostenuto che
vi è più differenza tra certi uomini e certi altri che non tra certi uomini e
certi animali. Non è perciò tanto l’intelletto che distingue in modo specifico
l’uomo tra gli animali, quanto la sua qualità di agente libero”.
Quasi a completamento di quanto scritto da Rousseau,
il giurista inglese Jeremy Bentham in Principi
della morale e della legislazione (1789), cap. XVII, scrisse: “ Esiste
qualche motivo per cui si dovrebbe permettere che tormentassimo gli animali?
Nessuno che io possa vedere. Ve ne è qualcuno per cui non si dovrebbe
permettere che li tormentassimo? Si, parecchi. C’è stato un giorno, e mi
rattrista dire che in molti luoghi non è ancora passato, in cui la maggior
parte del genere umano, grazie all’istituzione della schiavitù è stata trattata
dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, per esempio in Inghilterra,
sono state trattate ancora le razze inferiori di animali. Forse verrà un giorno
in cui le altre creature animali si vedranno riconosciuti quei diritti che
nessuno, che non sia un tiranno, avrebbe dovuto negar loro. I francesi hanno
scoperto che il colore della pelle non è una buona ragione perché un uomo debba
essere abbandonato, per motivi diversi da un atto di giustizia, al capriccio di
un torturatore. Forse un giorno si giungerà a riconoscere che il numero delle
zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell’osso sacro sono ragioni
altrettanto insufficienti per abbandonare a quello stesso destino un essere
senziente. In base a che altro si dovrebbe tracciare una linea insuperabile? In
base alla ragione? O alla capacità di parlare? Ma un cavallo o un cane che abbiano
raggiunto l’età matura sono senza confronto animali più razionali e più aperti
alla conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese.
Supponiamo che così non fosse; che cosa conterebbe? La domanda da porsi non è se sappiano ragionare, né se sappiano
parlare, bensì se possano soffrire”. Ma la difesa dei diritti animali
rimaneva mal fondata in Bentham, che aveva una concezione morale fondata
sull’utilitarismo.
Per lo stesso motivo era mal fondata la concezione di Stuart
Mill nel difendere la tesi di Bentham contro W. Whewell, che affermava, come
Kant, che l’uomo non può avere dei doveri nei riguardi degli animali, e che
“dobbiamo essere umani verso di loro perché siamo umani, non perché noi e loro
del pari proviamo piaceri animali”, perché “è intollerabile che sia lecito
sacrificare la felicità degli uomini a patto di poter produrre un sovrappiù di
piacere per i cani, i gatti ed i porci”.[1]
Stuart Mill replica che anche gli schiavisti bianchi ritengono che sia
intollerabile sacrificare anche solo una porzione di felicità dei bambini
bianchi a vantaggio di poco di felicità dei negri, come i signori feudali
pensavano avesse più valore il loro piacere rispetto a quello dei servi. “Niente
è più naturale per gli esseri umani che considerare i piaceri e le sofferenze
di altri meritevoli di preoccupazioni esattamente in proporzione alla loro
somiglianza con noi stessi...Siamo disposti a far dipendere l’intera questione
da questo argomento. Dato che una qualche pratica causa più dolore agli animali
di quanto piacere dia agli uomini, questa pratica è morale o immorale? E se gli
esseri umani, esattamente nella misura in cui si liberano dai vincoli
dell’egoismo, non risponderanno tutti 'immorale', che la moralità
del principio di utilità sia sempre condannata”. Per Stuart Mill è immorale la
pratica che causa più dolore agli animali che piacere agli uomini. Ma se la
condanna morale di una pratica dipendesse dal suo essere immorale, la giustificazione
rimarrebbe soggettiva perché fondata sull’utilitarismo. Infatti potrebbe
ritenersi più forte il piacere, e perciò l’utile, tratto dall’uomo rispetto al
dolore animale. Ogni spiegazione utilitaristica si ritorce contro se stessa in
mancanza del riferimento al diritto naturale.
Se esistono i diritti fondamentali degli uomini,
considerati come individui, tali diritti, in quanto naturali, non possono
essere soltanto umani.
Non vi è da meravigliarsi che nel mare del
soggettivismo, del pluralismo e del relativismo della filosofia contemporanea
soltanto Robert Nozick, tra i filosofi che non si siano in modo specifico
dedicati alla questione dei diritti animali,[2] abbia
sostenuto, nel proporre un modello di spiegazione dell’origine della società,
il diritto naturale, estendendolo coerentemente agli animali non umani, anche
se ne tratta in poche pagine dell’opera principale Anarchia, Stato e utopia, 1974). Tale diritto consegue
coerentemente dall’avere superato i vincoli morali, e perciò antropocentrici,
del diritto. Scrive Nozick: “ Se ci fossero esseri provenienti da un’altra
galassia e se stessero rispetto a noi nella posizione in cui stiamo di solito
rispetto agli animali, questi esseri sarebbero giustificati a trattarci come
mezzi alla maniera utilitaristica? Gli organismi sono forse collocati su una
scala ascendente, in modo che uno qualsiasi di essi può essere sacrificato o
fatto soffrire perché quelli che non sono più in basso nella scala conseguano
un maggior vantaggio totale? ...Questi esseri proclamano che noi possiamo
essere sacrificati per il loro benessere...Le nostre dottrine morali permettono
il nostro sacrificio a profitto delle superiori capacità di questi esseri?
...Le conseguenze non riguardano unicamente la questione se esseri superiori
possano sacrificarci a loro vantaggio. Riguardano anche la questione di quel che noi dovremmo fare”.[3]
Osserva Nozick che non è possibile ammettere che abbia significato soltanto la
vita di coloro che siano capaci di regolare la propria vita secondo un piano
globale per darle un significato. Si potrebbe infatti sostituire
all’espressione “significato della vita” il termine “felicità”. Non è infatti
un imperativo categorico pretendere che la vita umana debba avere un
significato. Non si può dunque pretendere che sia la qualità di esperienza di
vita a stabilire i limiti di ciò che l’uomo può fare agli animali. Quanto
all’argomento secondo cui, se gli uomini non mangiassero animali, questi non
verrebbero fatti nascere, ed è sempre meglio vivere, anche se poco, piuttosto
che non nascere, Nozick osserva che, se fosse valido l’argomento per gli
animali non umani, allora in uno Stato che imponesse limiti demografici una
coppia che avesse superato il limite stabilito di figli farebbe bene a farne
nascere altri per poi sacrificarli per qualche uso gastronomico giunto che
fosse ad una certa età. “Si supponga che mangiare animali non sia necessario
alla salute...Quindi il vantaggio di mangiare animali sta nei piaceri del
palato...Il problema è questo: questo piacere, o piuttosto l’aggiunta marginale
a questo piacere, supera in valore il valore morale che si deve dare alle vite
e alle sofferenze degli animali? Stabilito che gli animali devono contare
qualche cosa, il vantaggio supplementare ottenuto mangiandoli al posto di
prodotti non animali è maggiore del costo morale?...Potremmo esaminare il caso
della caccia, in cui suppongo che non sia giusto inseguire e uccidere animali
per puro divertimento”.[4]
Condannata in proposito qualsiasi concezione
utilitaristica, che giustificherebbe il rispetto degli animali non umani sulla
base della considerazione che anche gli animali non umani hanno interessi, per
cui la felicità totale deve essere calcolata considerando tutti i viventi,
Nozick precisa che gli animali non umani non possono essere impiegati o
sacrificati per il vantaggio umano, né è mai stato dimostrato che mangiare
carne sia necessario alla salute e non dipenda piuttosto da una questione di
palato. Ogni concezione etica dei diritti presuppone una differenza radicale
tra gli uomini e gli altri animali. Ma la questione, come disse già Jeremy
Bentham, non è se gli animali non umani siano capaci di parlare, ma se siano
capaci di soffrire. Pertanto nello Stato minimo di Nozick la libertà e i
diritti naturali non sono limitati agli esseri umani.[5]
Dobbiamo
lasciare la filosofia per trovare nomi noti o famosi di vegetariani nel XIX e
nel XX secolo. Tra questi ricordiamo Tolstoj che, divenendo vegetariano nel
1885, si fece promotore del pacifismo vegetariano e Richard Wagner, che considerò
il vegetarianesimo l’alimentazione naturale, Einstein e Ghandi, che (in Le basi morali del vegetarianesimo)
contrastò l’idea che la dieta vegetale rendesse deboli, passivi e abulici,
precisando: “Sono convinto che la carne non sia alimento adatto alla nostra
specie; il nostro errore è di imitare gli animali inferiori perché noi siamo
esseri superiori”. Anche Geroge Bernard Shaw fu vegetariano (dall’età di 25
anni) e morì nonagenario. I medici che gli avevano sconsigliato il
vegetarianesimo morirono tutti prima di lui. In tarda età rispose a chi gli
domandava come facesse ad apparire giovane: “Io dimostro la mia età. Sono gli
altri che sembrano più vecchi. Stranamente troviamo anche Isaac Bashevis Singer
(Nobel per la letteratura), ebreo, che si rammaricò di essere divenuto
vegetariano soltanto a 55 anni. Egli disse che il vegetarianesimo non era in
contrasto con il suo essere ebreo, precisando che siamo tutti creature di Dio e
che non aveva senso chiedere a Dio clemenza e giustizia continuando ad uccidere
animali. Come potesse affermare una mancanza di contrasto con la religione
ebraica è inspiegabile. Mancano in questi uomini citati le riflessioni sul
diritto naturale, sostituito da considerazioni morali, anche se non
antropocentriche.
[1]Lectures, cit. da Stuart Mill, in Tom
Regan-Peter Singer, Diritti animali e
doveri umani, Torino 1987, pp. 135-36.
[2]Se si prescinde
dall’ambito specifico della teoria dei diritti degli animali, in cui emergono i
nomi di Tom Regan (statunitense), autore di Diritti
animali (1983, Garzanti 1990) e
Peter Singer (australiano), autore di Liberazione
animale (1975, L.A.V. 1986) e di Etica
pratica (1979, Liguori 1989). Il primo fa riferimento al diritto naturale
mentre il secondo ad una concezione utilitaristica.
[3] Anarchia, Stato
e utopia (1974), Le Monnier 1981, pp.48 sgg.
[4]Ibid., p.39.
2 commenti:
Anch'io tendo più all'odio che all'amore, ma credo che in definitiva le due forze siano molto più vicine di quanto si creda: infatti una persona davvero orientata al bene e moralmente sana è spinta naturalmente all'odio e all'avversione verso le ingiustizie e i soprusi di ogni tipo, quindi anche l'odio può essere visto come amore per il bene e per la giustizia. Conta quindi comprendere l'oggetto dell'odio per giudicarlo, infatti una persona può essere cattiva ed amare quindi le ingiustizie e il male in tutte le sue forme, il suo "amore" non è altro se non odio per il bene.
Per quanto riguarda l'indifferenza verso le sofferenze umane, beh, io penso che in molti casi essa è quasi giustificata dal vedere come molte persone siano a loro volta meschine, crudeli e ciniche, quindi alla fine è come se meritassero anche il male o perfino lo costruiscono con le loro azioni ed esso si ritorce come un boomerang contro di loro. Eppure personalmente, pur non essendo incline alla compassione, riesco ugualmente a rispettare i miei simili e i loro diritti. A questo proposito Il filosofo Kant inoltre critica anche il concetto di "compassione" come fondamento dell'etica, in quanto esso è assolutamente soggettivo e quindi non può aspirare ad essere una regola per tutti gli uomini.
NO. L'etica di Kant è fondata sulla RAGIONE (Critica della ragione pura pratica): "Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre come principio di una legislazione universale". La formula del diritto dice: "Agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa accordarsi con la libertà di ogni altro secondo una legge universale". Come si vede, il diritto presuppone la libertà propria del soggetto morale. Fu Schopenhauer a concepire la morale fondata sull'istinto di compassione. Ad esso, secondo Schopenhauer, si oppone l'istinto di crudeltà. Le norme della giustizia, secondo Schopenhauer sono fondate sulla compassione, con la conseguente confusione tra morale e diritto. Kant distinse tra morale e diritto, ma ritenne che il diritto naturale,fondamento di ogni diritto, valesse solo per i soggetti morali,così escludendo gli animali dal diritto naturale, precisando che nei confronti degli animali vi fossero soltanto doveri, tra cui quello di evitare delle crudeltà. Come se potessero esistere dei doveri senza corrispettivi diritti. Da qui la sua concezione antropocentrica del diritto naturale,come in tutto il giusnaturalismo moderno, che identificò il diritto naturale con il diritto della ragione. Come se la natura fosse solo quella umana. La malattia dell'antropocentrismo contagiò anche Kant. Come avrebbe potuto diversamente rinunciare alle bistecche accompagnate da un bicchiere di vino?
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