venerdì 15 marzo 2013

IL NULLA. PERCHE' L'ESSERE INVECE CHE IL NULLA? SUPREMA DOMANDA FILOSOFICA CHE NON HA RISPOSTA

In occasione di una tramissione notturna (RAI3) di Maurizio Ferraris, professore di filosofia teoretica all'Università Stale di Milano.

Zettel.2 - Nulla



Prof. Ferraris (maurizio.ferraris@unito.it)

Le scrivo una lettera saggio. Non so se avrà la pazienza di leggerla sino alla fine. Se l'avrò annoiata mi scuserò con la frase del Manzoni (a chiusura de I promessi sposi): non si è fatto apposta.

 Nella mia insonnia ho ascoltato lei ed altri parlare del nulla in Heidegger nella trasmissione ZETTEL. (Dica a Mario De Caro di stare attento all'uso del congiuntivo. Ha detto: è più probabile che vinco (invece di vinca) io alla lotteria o milioni di persone? Possibile che si sia ammazzato il congiuntivo anche da parte di chi non dovrebbe mai incorrere in simili errori?).
E' strano che in contrapposizione a Heidegger sia stata riportata la famosa argomentazione in contrario di Carnap, mentre ha taciuto della "soluzione" identica già data da Platone, su cui se, non ricordo male (ho controllato i suoi ultimi corsi) ha tenuto lezione in riferimento al Sofista e dopo (o l'anno precedente?) sul Teeteto. Il non-essere come essere diverso in Platone, che riconosceva di avere commesso un "parricidio" nei confronti del "venerando e terribile" Parmenide. Ma non è una soluzione. Rimane sempre la domanda di Parmenide: perché l'essere piuttosto che il nulla? Parmenide: il nulla non può essere nemmeno pensato perché il pensiero è pensiero dell'essere. Ma nemmeno questa risposta è convincente. Infatti bisogna chiarire che cosa si intenda per essere. Se per essere si intende l'universo nessuna spiegazione teologica che faccia riferimento alla creazione dal nulla è accettabile. Anche per S. Tomaso, sa bene, la creazione dal nulla era solo una verità di fede. Leibniz ha scritto che, essendo Dio il luogo di tutti i mondi possibili, non sarebbe stato Dio se non ne avesse creato uno come il migliore mondo COMPOSSIBILE tra tutti i mondi possibili (perché non tutti i possibili sono compossibili). E della compossibilità leibniziana ci si dimentica. Ma, a parte ciò, il cervellone Leibniz non si accorse che in questo modo era costretto ad ammettere la coeternità di Dio e del mondo pur essendo egli cristiano. Se infatti lasciamo perdere la creazione dal nulla rimane la "soluzione"di Platone e di Plotino: la coeternità di Dio (demiurgo in Platone e Uno-Intelletto-Anima del mondo in Plotino) e della materia. Ma allora Dio è qualcosa in più, non necessario se trascendente. Se è immanente si cade nel panteismo che è l'altra faccia dell'ateismo. Come quello di Hegel, che all'inizio della Scienza della logica scrive che non si ha il tempo di alzare un dito che il nulla si è trasferito nell'essere e non si ha il tempo di abbassarlo che l'essere si è ritrasferito nel nulla. Da cui il divenire come risultato della dialettica tra essere e nulla. Puri giochi linguistici che dicono NULLA. Se, invece, per nulla si intende, non l'universo nella sua materialità, ma la vita, allora ha ragione Heidegger. Per chi muore è come se il mondo si annientasse.  Ho scritto alla fine del prologo di un mio libro, parafrasando Kant: il cielo stellato sopra di me, la legge del nulla dentro di me, il nulla del mondo dopo di me. 
Fatta questa premessa, io sono giunto ad un'età in cui si incomincia a vivere nel nulla. Andato in pensione nel 2009 come professore di storia della filosofia nella Facoltà di Scienze della formazione di Cagliari mi sono accorto che tutto ciò che ho studiato mi è servito a NULLA. Sono preda da alcuni anni del senso del NON SENSO DELLA VITA. Forse lei non può avere ancora questo senso perché non ha ancora l'età giusta per averlo. Se mi avessero offerto un contratto per continuare ad insegnare dopo la pensione avrei rifiutato. Anche se, stando tra i giovani, forse non avrei sentito così pesantemente la presenza incombente del nulla. Ho provato con gli antidepressivi e sono peggiorato. Li ho buttati. Io non sono depresso. Sono addolorato per essere nato. E contro questo dolore non esiste cura. Un'angoscia del nulla che covava sempre sotto le ceneri, sino a costringermi a dire una volta a mio padre: come ti sei permesso di farmi nascere senza prima chiedermi il permesso? E per coerenza non ho voluto figli per non far nascere altri condannati a morte. Si abolisca il non senso della frase che dice che si nasce dall'amore. Io ho scritto (in IO NON VOLEVO NASCERE) che si nasce per sbaglio o per egoismo dei genitori, che vogliono sottrarsi all'inconscio del non senso della vita creandosi delle responsabilità nei riguardi  dei figli con l'illusione di sopravvivere in essi. E così continua la corsa a staffetta con la consegna ai figli del testimone della morte, cioè del nulla. Sono per gli animali non umani, ho scritto, la vita ha un senso perché non si pongono la domanda: che senso ha la vita? Heidegger distinse tra morire e perire. Morior ha dentro di sé il suo contrario (orior). Gli animali, dice Heidegger, non muoiono, ma per periscono perché la loro vita è un per-ire, un andare per senza dover pro- gettare (porre di fronte a sé) la vita. Non mi consola il secondo Heidegger in cui l'uomo, ma non nella sua individualità, appare non un ente casuale ma un ente necessario per mezzo del quale l'essere si rivela a se stesso ed è considerato custode dell'essere, nel gioco a nascondino (dico io) dell'essere che si rivela sempre parzialmente nascondendosi contemporaneamente. E il nulla diventa non più un nulla assoluto (quello dell'uomo) ma un nulla relativo come conoscenza sempre parziale dell'essere nel suo disvelarsi storico. Baggianate metafisiche.
Rimane da riflettere su una frase di Ludwig Buchner (Forza e materia): è più angosciante il pensiero del nulla o non è più angosciante il pensiero che, divenendo immortali, non possiamo più morire? (ho citato a memoria). Forse è spaventosa anche un'eternità di spirito a cui non ci si può sottrarre. D'altronde, un aldilà di soli spiriti umani mi ripugnerebbe. Non potrei più ritrovare i miei più grandi affetti che sono stati i miei cani e gatti, e sarebbe una grave ingiustizia per tutti gli animali su cui si è esercitata la crudeltà umana, pur essendo gli animali non umani gli unici veri innocenti della Terra anche quando sono predatori. E come giustificare l'immortalità della sola specie umana data l'evoluzione biologica da una comune forma di vita? I teologi su questo punto si sono recentemente arrampicati sugli specchi. Ho trattato anche di questo argomento in due miei libri. Leibniz, evoluzionista, con una delle sue  tante fantasie teologiche, ha scritto che l'anima immortale fu infusa da Dio alla specie umana quand'era giunta ad un certo grado dell'evoluzione del cervello. Sapeva che questa fu anche la soluzione data da Alfred Russel Wallace, corrispondente di Darwin e coscopriotore (autonomamente, come gli riconobbe lo stesso Darwin) dell'evoluzione naturale fondata sulla selezione naturale? Ma Wallace pensò che sulla base dei piccoli mutamenti graduali postulati da Darwin non si giustificasse una evoluzione così relativamente rapida del cervello umano. E così fece intervenire Dio. Ma non era ancora sviluppata la paleontologia perché Wallace potesse sapere dell'esistenza dell'homo erectus convissuto per centinaia di migliaia di anni con l'homo sapiens, derivante dall'erectus. Anche l'homo erectus aveva l'anima immortale?  Comunque, Darwin scrisse a Wallace: tu hai ucciso il nostro comune figlio. Dopo di che Wallace si diede allo spiritismo. Praticarono lo spiritismo anche filosofi come il pragmatista William James e lo spiritualista Henri Bergson. Oltre a scienziati come sir Oliver Lodge.
E a che serve credere nella reincarnazione se non si ha memoria alcuna delle vite precedenti? Forse bisognerebbe approfondire i racconti di quelli che, sottoposti ad ipnosi, sono capaci di descrivere luoghi ed esperienze che non fanno parte della loro vita ma risultanti veri alla verifica, oppure capaci di parlare correttamente, in stato di ipnosi, lingue mai imparate. Se questo fosse vero come si spiegherebbe?
Dopo l'andata in pensione ho continuato a scrivere ma allontanandomi per sempre dai temi paludati del sapere accademico. Già alla sua età avevo unito lo studio della filosofia con lo studio della biologia evoluzionistica (con un libro di 518 pagine sepolto nel quaderno n.43 degli Annali della Facoltà). Ne ho ricavato la conclusione che è antiscientifica qualsiasi concezione antropocentrica, riflettentesi anche nell'ambito del diritto. Da qui la condanna di ogni concezione giuspositivistica (come quella contraddittoria di Kelsen, di Croce e di Bobbio) che voglia prescindere dall'evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita. Se non esiste il diritto naturale (che, in analogia con il primo principio della dinamica, si può chiamare anche "principio naturale della tendenza di ogni essere vivente ad autoconservarsi in vita, se si vuole evitare il termine antropomorfico "diritto") allora tutto diventa convenzionale e non esistono nemmeno i diritti umani se non come pura convenzione. Quando dico da una vita queste cose mi sembra di avere scoperto l'acqua calda, ma pare che i filosofi siano ancora rimasti all'acqua fredda. L'Occidente è vittima della cultura del relativismo e pretende di parlare di diritti umani. MA SU CHE COSA SIANO FONDATI questo non viene detto. Sulla dignità della persona umana? Ma non facciamo ridere. Allora anche i peggiori criminali della storia  avrebbero una dignità umana? La dignità bisogna meritarsela, non è iscritta nel DNA umano. Ecco subito la spia dell'antropocentrismo. Il diritto naturale o è di tutte le specie o è di nessuna. Questa è una conclusione terribile di cui non si vuole prendere coscienza.  Il predatore non uccide per crudeltà come fa l'uomo, ma per motivi di sopravvivenza (cioè per il suo diritto naturale all'autoconservazione). Io sono coerentemente vegetariano dall'età di 10 anni perché, a parte la non necessità di mangiare carne, non avrei mai il coraggio di uccidere l'animale da mangiare. Legga o ripassi di Rousseau il Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini alle note V-VIII-XII, dove si rimarca la natura di animale vegetariano dell'uomo. L'umanità vive tremendamente nell'ipocrisia perché, se dovesse, almeno una volta nella vita, ricavarsi da sé la bistecca in un mattatoio, molta umanità che adesso mangia carne, diventerebbe vegetariana. E questo vale anche per lei se mangia carne. E dunque che lezione di coerenza morale può dare agli studenti nelle sue lezioni? Tenga presente che Platone, ogni volta che dà la lista dei cibi agli ateniesi esclude sempre la carne. Ora non ricordo precisamente in quale altro dialogo dia lista oltre che nella Repubblica e nelle Leggi. I neoplatonici Plutarco e Porfirio (non si sa se lo fosse Plotino, maestro di Porfirio) erano vegetariani.

Da più di vent'anni leggo la Domenica de Il Sole24Ore, con tutti i numeri conservati. Il resto del giornale non mi interessava e lo buttavo e lo butto via. Perciò seguo da qualche anno i suoi articoli. L'ho anche citata in un mio libro del 2006 perché anch'io sono un realista come lei, sostenitore dell'oggettività del mondo esterno.  Le sedie (come lei ha scritto in un artocolo) esistono indipendentemente dal fatto che vengano pensate.
Se avessi la speranza di una recensione sua o di altri le invierei i miei ultimi testi, ma senza fare richieste ad alcuno. Scoprirebbe comunque che ho demolito tutta la filosofia contemporanea. Salvo soltanto l'immaturamente scomparso Robert Nozick, ma solo in quanto autore di Anarchia, Stato e Utopia. Infatti fu coerente nel difendere i diritti degli animali in quanto sostenitore del diritto naturale quale fondamento dello Stato minimo e contro il convenzionalismo contraddittorio dell'immeritatamente più noto John Rawls.  Tra gli italiani non risparmio nemmeno il concittadino Remo Bodei (ci conosciamo da quando eravamo studenti e passava l'estate a Cagliari pur studiando a Pisa). Il suo migliore libro rimane GEOMETRIA DELLE PASSIONI. E' senz'altro un pozzo di erudizione, dal pensiero brillante che affascina l'uditorio, ma sostanzialmente vuoto. E comunque, non si salva nemmeno lui dal relativismo, come risulta anche da un suo articolo compreso ne Il Sole24Ore del 3 aprile 2005 in occasione  della morte di Giovanni Paolo II. Ho commentato questo articolo scrivendo in un mio libro:
Bodei, volendo sottrarre i valori al relativismo, sa offrire una medicina che è peggiore del male che vorrebbe guarire. Infatti scrive: “tutti i valori poggiano su scelte di fondo oscure o, in ultima istanza, indecidibili in maniera assoluta, ma sentiamo di doverne propugnare alcuni contro altri, non perché fondati sul diritto naturale, su premesse date, ma perché progettati. Non aiuta molto, nel combattere il relativismo…il ricorso al ‘paradigama perduto’ della ‘natura umana’, all’esistenza di leggi immutabili e oggettive, la cui essenza rimane costante”. Secondo Bodei “un corpo di regole e di leggi ha valore proprio perché esse non esistono naturalmente, perché si deve plasmare un mondo che non c’è ancora, dove la sofferenza e l’ingiustizia siano battute e le opportunità di una vita migliore (le ‘capacità’ e i ‘funzionamenti, come li chiama Amarya Sen) siano incrementate”.
Bodei non si rende conto delle banalità che ha scritto e della contraddittorietà del voler trarre i valori morali da "scelte di fondo oscure". Dunque anche i valori morali in cui egli crede nascono dalle sue personali scelte di fondo oscure. Ognuno ha le sue scelte di fondo oscure. E così si rimane nell'oscurità del relativismo. Il fatto è che anche Bodei non ha capito la lezione di Max Weber della "lotta mortale tra valori morali", da cui si può uscire solo con il diritto naturale non antropocentrico. Cosa che per altro nemmeno Max Weber, da sociologo, potè mai capire.

Nello stesso mio testo ho scritto di lei:

Giustamente Maurizio Ferraris1 ha rilevato che chi dice che “la carità è meglio della metafisica – e di fatti questa tesi è stata ribadita da uno dei maggiori (?)2 filosofi italiani contemporanei, Gianni Vattimo, e, nella variante per cui la solidarietà è meglio che l’oggettività – è la tesi che costituisce da un quarto di secolo il cavallo di battaglia di un famoso filosofo americano, Richard Rorty, che ora la riespone in un confronto tra lui e Vattimo intitolato Il futuro della religione. Il titolo richiama un po’ il saggio di Freud sulla religione L’avvenire di una illusione. Tuttavia per Vattimo e per Rorty il fatto che la religione possa risultare illusoria non conta. Anzi, può costituire un vantaggio, perché i postmoderni sono persuasi che l’oggettività e la verità siano un male…e che la metafisica …sia non solo una cosa vecchia, falsa, varia; ritengono che sia cattiva, appunto perché mira all’oggettività, la quale è dispotica e malvagia…E’ poco ma sicuro: non dipendono dai soggetti gli oggetti fisici, visto che sarebbe una ben strana pretesa quella di sostenere che la neve sul Monte Bianco dipende dalla nostra volontà. Che le sedie siano tali solo per uomo e probabilmente per un gatto e i tabernacoli solo per un uomo non significa che le loro proprietà fisiche siano determinate da uomini o da gatti. I postmoderni mascherano in po’ la cosa sostenendo che gli oggetti fisici si riducono a particelle subatomiche, e dunque sono il frutto di costrutti teorici degli scienziati, ma è certo che questi postmoderni non sarebbero contenti qualora le diagnosi dei loro medici si rivelassero semplici costrutti teorici: c’è un livello mesoscopico in cui gli oggetti sono proprio solidi e indipendenti, e magari una diagnosi è giusta. …In secondo luogo, ci sono gli oggetti ideali. Non sono costituiti, nel senso che le proprietà di un triangolo, del principio di non contraddizione o di un’operazione aritmetica non dipendono in alcun modo, quanto alla loro essenza, dalla costruzione di un matematico…Poi ci sono gli oggetti sociali.. Diversamente dagli oggetti fisici, non possiedono un essere indipendente dal fatto che qualcuno creda che ci siano…Diversamente dagli oggetti ideali, sono dotati di un inizio nel tempo…Questo non significa che gli oggetti sociali siano dipendenti dalla mia volontà…Da queste semplici distinzioni mi sembra che emergano due considerazioni. Primo:‘la notte in cui tutte le vacche sono nere’3 è, letteralmente, la notte in cui tutti gli oggetti sono eguali; se Hegel ha a buon diritto liquidato l’inconsistenza dell’assoluto di Schelling, non si capisce perché, a duecento anni di distanza, dovremmo continuare a bearci nel brodo primordiale di una generica oggettività cattiva, da sostituirsi con una non meno indistinta carità. Secondo: il modo migliore per congedarsi dal brodo primordiale del postmoderno è riabilitare la metafisica, e in particolare la teoria dell’oggetto, che ne è il lato più utile, vario e attraente, mentre i postmoderni sono convinti, con Nietzsche e Heidegger, che la metafisica sia solo una teologia mascherata, da sostituirsi con una religione del cuore…dei pregiudizi antimetafisici di tanti filosofi del Novecento”.4
Appare, tuttavia, ben strana la conclusione - che si può trarre dalle pur giuste considerazioni di Ferraris - che anche le verità oggettive che la conoscenza scientifica può ormai documentare di avere in molti ambiti della conoscenza siano da considerarsi anch’esse metafisica. Tranne che ci si metta d’accordo sul significato dei termini e si voglia affermare che tutto ciò che non ricade nel soggettivismo delle teorie filosofiche sia da ritenersi metafisica. In realtà Ferraris ha mancato di rilevare la solita contraddizione dei filosofi postmoderni, soggettivisti, propagatori della filosofia del dialogo in quanto non vi sarebbero verità oggettive: essi, contraddicendosi, sostengono in realtà una verità assoluta nel negare che non esistano verità oggettive. E chi si contraddice è meglio che taccia per sempre.
1 Solo la metafisica ci può salvare, Il Sole-24 Ore, domenica 13 marzo 2005.


2 Punto interrogativo nostro. Che Attimo sia uno dei maggiori filosofi dipende secondo noi dal suo frequente apparire alla Tv e dall’essere un opinionista su un quotidiano, oltre che dal suo impegno politico come europarlamentare, non dai suoi meriti filosofici.


3 Si tratta della nota espressione impiegata da Hegel nella prefazione della Fenomenologia dello Spirito, in cui, riferendosi a Schelling, pur senza nominarlo, aveva paragonato l’Assoluto (sintesi di natura e spirito) di Schelling ad una notte in cui tutte le vacche sono bigie, per evidenziare la mancanza della distinzione tra natura e spirito in Schelling.


4 M. Ferraris si riferisce ai recenti testi di Fréderic Nef, Qu’est-ce que la métaphysique (Gallimard, Paris 2004, pagg. 1.042) e L’objet quelconque. Recherche sur l’ontologie de l’objet, Vrin, Paris 1998, pagg. 344.


Nel mese di febbraio del 2011 il cardinale Ravasi ha pubblicato interamente una mia lunga lettera (insieme ad altre lettere) dandole lui il titolo: Anche le formiche nel loro piccolo hanno un'anima (per altro immortale)". Ha voluto scherzare? Perché se non avesse scherzato, come ho scritto nel forum Animali e dintorni del Corriere della sera, vi è da augurarsi che venga eletto papa.
Se fossi riuscito ad uscire dall'anonimato affacciandomi a qualche importante giornale forse avrei sentito meno il peso della mia nullità, avente come fondamento il nulla. Ma quale giornale avrebbe accettato una mia collaborazione se sono un dissacratore spietato dell'ipocrisia di quasi tutta l'umanità? Eppure vi sono molti opinionisti che godono di una immeritata notorietà. Ho lasciato inedito, sebbene già compiuto, quello che accademicamente sarebbe stato il mio libro più importante (avevo già un contratto con l'editore Franco Angeli): GEOMETRIA DEL DIRITTO NATURALE. LA MORALE COME OBLIO DELLA GIUSTIZIA . DALL'ANTICHITA' AD OGGI (900 pagine). Non ero convinto di avere capito bene la dottrina delle idee di Platone (non essendo Platone un autore sistematico), e quando finalmente l'ho capita nel suo dipanarsi ed evolversi dalla Repubblica al Sofista e al Timeo, sono stato distratto da altri interessi (lo studio dell'esegesi dell'Antico Testamento). E così il libro è rimasto inedito.       
  Si è detto spesso che la filosofia è morta.  Certamente è morta, anche quella che sembra essere viva come quella dello zombie Emanuele Severino con la sua teoria dell'eternità degli enti (andando oltre l'eternità dell'essere parmenideo) e del suo continuo ripetere da tutta una vita la cantilena che il divenire non esiste perché sarebbe  un provenire dal nulla per tornare nel nulla. Eppure uno che ha sempre scritto queste allucinazioni ha fatto per tanti anni l'opinionista su importanti giornali (soprattutto nel Corriere della sera), giungendo a ritenere solo apparente l'evoluzione biologica, e giungendo a porsi (in Gli abitatori del tempo) contro scienziati come Lorenz, Monod e Jacob.
E che dire di Massimo Cacciari che, avendo iniziato a scrivere da marxista (Krisis) ha finito con il fare il teologo pretendendo di conoscere la vera natura di Dio andando oltre la teologia negativa in Della cosa ultima? Un testo dal linguaggio lussureggiante, su cui mi sono rotto la testa e che serve solo a coprire le sue allucinazioni da sveglio. Di Cacciari ho scritto tra altre cose:
"Con il suo solito linguaggio esoterico, che vorrebbe essere espressione di profondità, e che, in realtà, serve soltanto a mascherare una totale artificiosità di argomentazioni vuote di contenuto scientifico e ricche di affermazioni oniriche, Cacciari espone soltanto le escrescenze di una simbiosi tra neoplatonismo, esegesi biblica, cristianesimo, hegelismo e analisi del secondo Heidegger, pretendendo di rispondere filosoficamente, invece che scientificamente, alla domanda sull’inizio del mondo per trovare in esso le radici della libertà umana".
Certamente la filosofia è morta se pretende di andare oltre i limiti della conoscenza sperimentale. Dico sperimentale, e non scientifica, perché non tutto ciò che è sperimentabile può essere spiegato scientificamente.

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6 commenti:

Massimo ha detto...

Volevo umilmente lasciare un mio contributo sull'infinita questione dell'essere e del divenire ...
Fosse anche una stupidaggine, la ringrazio per l'attenzione.

http://cronachebabilonesi.blogspot.it/2011/11/essere-e-divenire.html

Anonimo ha detto...

Sulla forma: il congiuntivo mancato di De Caro non è un cappio al collo, dopo il che posso benissimo usare l'indicativo se voglio enfatizzare il carattere di realtà del mio enunciato, prevalente rispetto a quello di eventualità/possibilità. Non è un OBBLIGO, per quanto l'ossessione tutta italiana a iper-correggere voglia far credere.
Sul contenuto:Non capisco perchè l'assunto di Bodei debba risultarle "banale" sol perchè afferma che tutti i valori poggiano su "scelte oscure" (dal che mi pare risultino importantissime conseguenze che non sto a trattare). A me la banalità ritrita sembra più la Sua quando dice che chi afferma il relativo principio che non esistono verità assolute si contraddice perchè afferma con ciò egli stesso che bla bla bla. E' un ritornello che conosciamo.

Pietro Melis ha detto...

Non rispondo più di tanto a chi scrive anonimamente e non ha il coraggio di metterci la faccia. Posso avere solo il dubbio che sia lo stesso Ferraris. Allora non si accorge di essersi contraddetto nel suo sostenere il realismo, mentre i valori morali non esistono. Sono un'invenzione umana. Se non l'ha capito peggio per lui. Significa che non merita nemmeno di fare l'editorialista sul Sole24Ore. Chi si contraddice è meglio che taccia per sempre. Il ritornello è quello di coloro che sino alla nausea vanno predicando di valori morali, che sono sempre culturali,dipendenti da diverse tradizioni storiche. Più si è culturali e più si rimane nel relativismo.
Quanto al congiuntivo è evidente che chi ha obiettato il contrario non ha studiato il latino o l'ha dimenticato.Il latino è molto più logico e rigoroso dell'italiano. Il latino è un esrcizio severo di logica. Ed è dal latino che bisogna trarre l'uso corretto del congiuntivo. Dire "credo che tu sei"(invece di "credo che tu sia" è un orrore anche per l'orecchio bene educato.

ZUIANO ha detto...

Caro professore Melis, le assicuro che il divino Plotino era vegetariano, lo si può evincere dall'introduzione "sull'astinenza dagli essere animati " e da "vita di Plotino" dell'altrettanto divino Porfirio.

Pietro Melis ha detto...

Non mi risulta dalla lettura delle Enneadi né dalla biografia di Plotino scritta da Porfirio che Plotino fosse vegetariano. Se lei è sicuro di ciò che dice mi citi un passo delle Enneadi da cui si deduca che Plotino fosse vegetariano. Plotino giustificava l'esistenza del male come Platone, in quanto causato dalla materia. D'altra parte la morte era un preludio per la reincarnazione, non solo degli uomini. "Prima si muore e prima ci si reincarna", ha scritto Plotino. Vegetariano era il suo allievo Porfirio.
Il titolo dell'opera di Porfirio non è "Dell'astinenza dagli esseri animati" ma "De abstinentia carnibus", cioè "Dell'astinenza dalle carni".

ZUIANO ha detto...

Scusi il ritardo per la risposta, avevo il pc fuori uso.L'astinenza delle carni di Porfirio è stata scritta appunto per far rinsavire Castricio Firmo, discepolo come Porfirio del divino Plotino,che alla morte del maestro aveva abbandonato la regola del vegetarianesimo.Nella vita di Plotino, sta riportato ,vado a memoria,(Plotino)non ha abbondanato l'astinenza dalle carni nemmeno quando era malato.Pure Proclo si asteneva dalle carni, come riportato nella vita del divino Proclo di Marino di Neapolis (in palestina).