I fischi e le disapprovazioni urlate da quelli che stavano dentro il baraccone del teatro Ariston sono gli individui che dovrebbero stare zitti perché solo degli stronzi (oltre l'idiozia) possono avere interesse ad assistere ad una manifestazione mondana dell'effimero, e non artistica. Al loro confronto Celentano ha dimostrato di avere più cervello di tutti i presenti, anche di coloro che l'applaudivano. Perché bisogna essere stronzi per entrare il quel baraccone.
Ho sentito al video il commento di Scalfari che condivido (anche se sono distante anni luce da lui e da quel giornalaccio di Repubblica di cui è stato fondatore e direttore). Ha detto che i discorsi di Celentano sono qualunquistici perché mettono insieme Famiglia cristiana (che rappresenta la base e la fronda del cattolicesimo) e il quotidiano Avvenire che è di proprietà delle gerarchie. Non ho sopportato la frase di Celentano "dobbiamo essere contenti di essere nati perché siamo destinati ad avere una felicità che non è misurabile con quella terrena". Mi sembrava di sentire un prete. Anzi, peggio di un prete. Avrebbe dovuto fare un discorso neutro pensando che vi sono anche i non credenti. Adesso si è messo a fare il teologo molleggiato. E ha dimostrato di essere ignorante criticando la sentenza della Corte costituzionale perché dovrebbe sapere che una legge può essere abolita (come ha rilevato Scalfari) solo se non lascia un vuoto legislativo.
Non sopporto il luogo comune del dire che la vita è un dono. Il re degli ignoranti ha detto che dobbiamo ringraziare di essere nati. Questa è la più grossa stronzata linguistica che esista, accettata dalla grande massa degli ebeti. Un Celentano non può essere all'altezza di capire che la vita non può essere un dono perché manca il ricevente. Tranne che si voglia dire che il ricevente è uno dei 200 o 300 milioni di spermatozoi di una sola eiaculazione. Nessuno ha chiesto di nascere. E che non sia vero che dovremmo essere contenti di essere nati è dimostrato dal fatto che esistono i suicidi e tanta gente (come me) che avrebbe preferito non nascere. Non esiste vita senza sofferenze. Le gioie sono isole in un mare di dolori e dispiaceri. E coloro che godono della vita sono solo dei superficiali che vivono nel quotidiano distranendosi in vari modi dal non senso della vita. Ma più delle sofferenze e dei dispiaceri pesa ben altro nella vita. La malattia oscura del suo non senso, dell'essere il risultato della casualità in un universo privo di un disegno intelligente.
Tornando alle stronzate di Celentano, che poteva rivolgersi solo ai credenti (per cui le sue predicozze erano ancor più prive di senso per i non credenti), certamente non può capire che egli, come tutti i credenti , è un opportunista. Quest'anno compirà 74 anni. E' l'età giusta per incomnciare a pensare alla morte. E infatti l'ha dimostrato. Sta cercando di prepararsi il paradiso cercando di sfuggire al sentimento oscuro del non senso della vita. Ecco il modo per sfuggire alla disperazione. Ma evidentemente Celentano non può capire che di fronte ad un Dio avrebbe maggiori meriti un ateo-agnostico che rispetti le norme della giustizia senza aspettarsi un premio in un supposto ed enigmatico aldilà. E' la tesi espressa nel mio libro che uscirà ufficialmente il 25 febbraio. Intitolato ADDIO A DIO. Sottotitoli: Dialogo con Dio (la trinità) chiedente perdono. "Beati coloro che NON credono in Dio se...Essi saranno i primi nel regno dei Cieli". Conclusione tratta da una lettura nuova di tuttii passi più importanti delle Epistole di Paolo e dei Vangeli. Scrive Paolo nell'Epistola ai Romani che anche i pagani (o non credenti) si sarebbero salvati rispettando la Legge naturale iscritta nei loro cuori. Ne dovrebbe conseguire che l'unico grande peccato di fronte a Dio è la MALAFEDE. E infatti aggiunge S. Paolo: "Senza la Legge (cioè senza la coscienza del peccato) il peccato è morto (non esiste)". Ne consegue che i santi sono coloro che hanno meno meriti rispetto agli atei-agnostici che rispettino la Legge naturale (da cui discende il diritto naturale) senza aspettarsi alcun premio nell'aldilà perché non sono degli opportunisti come i credenti. Perciò anche un ateo andrà in paradiso (se esiste) purché abbia rispettato le norme della giustizia fondate sul diritto naturale e sia stato sempre in buonafede. Giovanni Paolo II disse che "basta essere giusti per salvarsi". Ma allora a che serve il proselitismo? Non lo capisco. Il cristianesimo vive dentro un contrasto: tra il proselitismo e il riconoscimento che esistono altre strade, fuori del cristiansimo, per la salvezza. Era invece coerente il fanatico e per me odioso S.Agostino che scrisse che i non cristiani erano "una massa dannata". Fuori del cristianesimo non vi era salvezza. Tanto fanatico da non accorgersi che la sua dottrina della predestinazione (ricavata da una contraddizione di S. Paolo, che anteponeva la fede alle opere, come nel futuro protestantesimo) non assicurava la salvezza nemmeno ai cristiani perché S. Paolo (Lettera ai Romani, 8, 30) scrive: "Coloro che predeterminò anche chiamò; quelli che chiamò anche giustificò; quelli che giustificò anche glorificò".Conseguenza assurda dell'avere presupposto che la volontà divina non possa essere determinata da quella umana. Ma questo S.Paolo era in comunicazione diretta con Dio? Eppure non conobbe mai personalmente Gesù. Ci vorrà tutto l'equilibrismo del platonico (più che aristotelico) S. Tomaso per ridare importanza alle opere ai fini della salvezza dicendo che la fede è un aiuto in più per compiere opere di giustizia e di bene. Paradossale è che il razionalismo tomistico ispirò la Controriforma, mentre l'irrazionalismo agostiniano ispirò la Riforma. Ma -astuzia della ragione, avrebbe detto Hegel - il razionalismo della Controriforma (che l'ateo Benedetto Croce vide come precedente storico del razionalismo scientifico e di una società liberale) e l'irrazionalismo della Riforma (che tradusse il cristianesimo nell'interiorità della coscienza liberandolo dal connubio con il potere temporale) portò alla nascita dello Stato laico.Ma il mio libro non può certo rivolgersi né a Celentano né a tutti gli idioti che godono del mondo dell'effimero avendo portato il cervello all'ammasso continuando a coltivare i luoghi comuni del dire, privi di pensiero. In tal senso definiti "stronzate" dal filosofo americano Harry G. Frankfurt (Stronzate, Rizzoli 2005).
Ho sentito al video il commento di Scalfari che condivido (anche se sono distante anni luce da lui e da quel giornalaccio di Repubblica di cui è stato fondatore e direttore). Ha detto che i discorsi di Celentano sono qualunquistici perché mettono insieme Famiglia cristiana (che rappresenta la base e la fronda del cattolicesimo) e il quotidiano Avvenire che è di proprietà delle gerarchie. Non ho sopportato la frase di Celentano "dobbiamo essere contenti di essere nati perché siamo destinati ad avere una felicità che non è misurabile con quella terrena". Mi sembrava di sentire un prete. Anzi, peggio di un prete. Avrebbe dovuto fare un discorso neutro pensando che vi sono anche i non credenti. Adesso si è messo a fare il teologo molleggiato. E ha dimostrato di essere ignorante criticando la sentenza della Corte costituzionale perché dovrebbe sapere che una legge può essere abolita (come ha rilevato Scalfari) solo se non lascia un vuoto legislativo.
Non sopporto il luogo comune del dire che la vita è un dono. Il re degli ignoranti ha detto che dobbiamo ringraziare di essere nati. Questa è la più grossa stronzata linguistica che esista, accettata dalla grande massa degli ebeti. Un Celentano non può essere all'altezza di capire che la vita non può essere un dono perché manca il ricevente. Tranne che si voglia dire che il ricevente è uno dei 200 o 300 milioni di spermatozoi di una sola eiaculazione. Nessuno ha chiesto di nascere. E che non sia vero che dovremmo essere contenti di essere nati è dimostrato dal fatto che esistono i suicidi e tanta gente (come me) che avrebbe preferito non nascere. Non esiste vita senza sofferenze. Le gioie sono isole in un mare di dolori e dispiaceri. E coloro che godono della vita sono solo dei superficiali che vivono nel quotidiano distranendosi in vari modi dal non senso della vita. Ma più delle sofferenze e dei dispiaceri pesa ben altro nella vita. La malattia oscura del suo non senso, dell'essere il risultato della casualità in un universo privo di un disegno intelligente.
Tornando alle stronzate di Celentano, che poteva rivolgersi solo ai credenti (per cui le sue predicozze erano ancor più prive di senso per i non credenti), certamente non può capire che egli, come tutti i credenti , è un opportunista. Quest'anno compirà 74 anni. E' l'età giusta per incomnciare a pensare alla morte. E infatti l'ha dimostrato. Sta cercando di prepararsi il paradiso cercando di sfuggire al sentimento oscuro del non senso della vita. Ecco il modo per sfuggire alla disperazione. Ma evidentemente Celentano non può capire che di fronte ad un Dio avrebbe maggiori meriti un ateo-agnostico che rispetti le norme della giustizia senza aspettarsi un premio in un supposto ed enigmatico aldilà. E' la tesi espressa nel mio libro che uscirà ufficialmente il 25 febbraio. Intitolato ADDIO A DIO. Sottotitoli: Dialogo con Dio (la trinità) chiedente perdono. "Beati coloro che NON credono in Dio se...Essi saranno i primi nel regno dei Cieli". Conclusione tratta da una lettura nuova di tuttii passi più importanti delle Epistole di Paolo e dei Vangeli. Scrive Paolo nell'Epistola ai Romani che anche i pagani (o non credenti) si sarebbero salvati rispettando la Legge naturale iscritta nei loro cuori. Ne dovrebbe conseguire che l'unico grande peccato di fronte a Dio è la MALAFEDE. E infatti aggiunge S. Paolo: "Senza la Legge (cioè senza la coscienza del peccato) il peccato è morto (non esiste)". Ne consegue che i santi sono coloro che hanno meno meriti rispetto agli atei-agnostici che rispettino la Legge naturale (da cui discende il diritto naturale) senza aspettarsi alcun premio nell'aldilà perché non sono degli opportunisti come i credenti. Perciò anche un ateo andrà in paradiso (se esiste) purché abbia rispettato le norme della giustizia fondate sul diritto naturale e sia stato sempre in buonafede. Giovanni Paolo II disse che "basta essere giusti per salvarsi". Ma allora a che serve il proselitismo? Non lo capisco. Il cristianesimo vive dentro un contrasto: tra il proselitismo e il riconoscimento che esistono altre strade, fuori del cristiansimo, per la salvezza. Era invece coerente il fanatico e per me odioso S.Agostino che scrisse che i non cristiani erano "una massa dannata". Fuori del cristianesimo non vi era salvezza. Tanto fanatico da non accorgersi che la sua dottrina della predestinazione (ricavata da una contraddizione di S. Paolo, che anteponeva la fede alle opere, come nel futuro protestantesimo) non assicurava la salvezza nemmeno ai cristiani perché S. Paolo (Lettera ai Romani, 8, 30) scrive: "Coloro che predeterminò anche chiamò; quelli che chiamò anche giustificò; quelli che giustificò anche glorificò".Conseguenza assurda dell'avere presupposto che la volontà divina non possa essere determinata da quella umana. Ma questo S.Paolo era in comunicazione diretta con Dio? Eppure non conobbe mai personalmente Gesù. Ci vorrà tutto l'equilibrismo del platonico (più che aristotelico) S. Tomaso per ridare importanza alle opere ai fini della salvezza dicendo che la fede è un aiuto in più per compiere opere di giustizia e di bene. Paradossale è che il razionalismo tomistico ispirò la Controriforma, mentre l'irrazionalismo agostiniano ispirò la Riforma. Ma -astuzia della ragione, avrebbe detto Hegel - il razionalismo della Controriforma (che l'ateo Benedetto Croce vide come precedente storico del razionalismo scientifico e di una società liberale) e l'irrazionalismo della Riforma (che tradusse il cristianesimo nell'interiorità della coscienza liberandolo dal connubio con il potere temporale) portò alla nascita dello Stato laico.Ma il mio libro non può certo rivolgersi né a Celentano né a tutti gli idioti che godono del mondo dell'effimero avendo portato il cervello all'ammasso continuando a coltivare i luoghi comuni del dire, privi di pensiero. In tal senso definiti "stronzate" dal filosofo americano Harry G. Frankfurt (Stronzate, Rizzoli 2005).
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