sabato 11 ottobre 2014

FANTASIE RELIGIOSE ORIENTALI. LA REINCARNZIONE

Il titolo è mio. 
Ricevo da Paolo Ricci (Bailador.org)
IL KARMA E L’APERTURA VERSO IL NON UMANO

Con il Rig Veda (1500- 1200 a.C.) siamo ancora a una sola vita, come nelle religioni monoteiste: si tirano le cuoia e buonanotte ai suonatori. Con le Upanishad (IX - VIII secolo a.C.) cambia la musica e siamo davanti a qualcosa di profondamente differente: si parla di trasmigrazioni di anime e rientrano nel gioco anche il non umano e le infinite vittime sacrificali. Ora ci si reincarna. Il corpo si corrompe ma l’anima imperitura resta. E anche l’anima degli animali si reincarna in un corpo. E con il ciclo delle rinascite – aborrito dagli orientali ma amato dagli occidentali – sbuca l’idea del karma . Le azioni passate producono le reincarnazioni per umani e non umani. Il Karma è come un sistema computerizzato che calcola ogni azione, ogni pensiero, ogni desiderio.
Così, se te la spassi alla grande, navighi nell’oro, non conosci la compassione, nella prossima reincarnazione potresti divenire un disperato salvato da Madre Teresa da un marciapiede di Calcutta. Il Karma comporta l’evoluzione spirituale: ogni essere vivente retrocede o procede secondo le sue azioni. Mengele scende al livello degli insetti, un cane sofferente e l’orsa Daniza approdano al livello umano. L’idea della rinascita fa capolino nelle Upanishad , come l’anima immortale nel monoteismo, in un preciso momento storico.
Ugualmente si transita dall’Ade omerico all’Oltremondo platonico e a quello dei misteri eleusini e orfici; dalla situazione deplorata da Achille a condizioni ultraterrene migliori nei Campi Elisi. Le cose cambiano senza dirette informazioni pervenute da Dio o da Dei, ma per le “intuizioni” di santoni, preti, savants, sciamani, taumaturghi, filosofi, senza mai una misera traccia di evidenza.
A un certo punto della storia dell’India c’è un svolta: i bramini, la casta dominante, si rendono conto che qualcosa va cambiato: l’orrore della separazione classista non regge, ma il sistema va mantenuto ad ogni costo. Mutare l’iniquo ordine è pericoloso per le classi abbienti e il karma è il punto d’appoggio della modifica; per i bramini tenere in piedi il baldacchino fantasioso delle caste è essenziale, altrimenti crolla tutto. Funziona come il cristianesimo che insegna agli schiavi a sopportare la pena quotidiana perché alla fine della vita li aspetta la luce infinita del Signore.
Ma con l’arrivo del Buddha si scompigliano i giochi. Gautama mina le fondamenta della struttura induista.
Saltano in aria il Dio creatore e personale, l’anima immortale, le caste, gli odiosi sacrifici e la speculazione metafisica. I Dalit, gli intoccabili, vedono una luce. Gautama annienta la loro insostenibile condizione: non esistono caste nel buddismo. Ma in mezzo alle rovine teologiche si salva l’idea della reincarnazione, interpretata in maniera differente, dal momento che l’Illuminato nega l’atman l’anima immortale.
Ma cosa insegna il Buddha? Insegna che la via è quella del fuoriuscire dalla sofferenza, attraverso la meditazione, la compassione verso i viventi, umani e non umani, la consapevolezza, la non violenza, .seguendo il tracciato indicato dalle quattro nobili verità: la sofferenza, come realtà universale che tutto abbraccia, il sorgere della sofferenza, la cessazione della sofferenza, la via che conduce alla cessazione della sofferenza procedendo lungo l’ottuplice sentiero. L’Illuminato infrange il determinismo karmico insegna che siamo noi gli artefici del nostro destino perché esercitiamo il libero arbitrio.
Gautama non si perde dietro alle disquisizioni teologiche o alle domande essenziali, è agli antipodi del monoteismo nostrano tarlato dalle eterne domande senza risposta: osserva il mondo e decide.
Durante un festival della semina vede la fatica degli uomini, vede la paziente sofferenza dei buoi, vede la lama dell’aratro che fende la terra, vede i vermi e gli insetti esposti alla luce e pasto d’uccelli. Vede la povertà, le malattie, la vecchiaia, il perenne soffrire e tira le sue conseguenze. Il mondo del Buddha è come quello del filosofo scozzese Hume che spiega che se un alieno venisse sulla Terra lo porterebbe a vedere un ospedale, un carcere, un campo di battaglia, una flotta a picco nel mare, uno Stato dominato dalla tirannia, oltre a popolazioni afflitte dalla fame e dalla peste. E se l’alieno chiedesse di vedere qualcosa di gioioso allora lo porterebbe a un ballo, a vedere uno spettacolo, a visitare la corte e lì esperimenterebbe la stessa angoscia. L’uomo comune per Gautama è il classico piccolo borghese dei nostri tempi: ama gli elogi, brama il successo, non è compassionevole, non sa come affrontare decadimento, malattie e morte, è lussurioso, spesso spietato, affetto da familismo degenere e aborre povertà e silenzio.
E smontato l’ego, Gautama fa a pezzi la “cosa pensante” cartesiana, il sé sostanziale e individuale; precedendo di secoli la critica di Hume, mina la solidità dell’io, lo rende un fascio di disordinati pensieri senza un vero centro. Sfalda il nucleo della nostra persona. La mente – dice – brucia come una fiamma, s’impenna come un’onda, brucia come un incendio in una foresta. La mente è come un teatro ove i pensieri si susseguono con grande rapidità, con un procedere penoso di stati d’animo, un’altalena spaventosa di sensazioni, senza alcuna sosta. La mente è come un folle che urla rinchiuso tra le pareti del cranio. Tutto è impermanente, interconnesso e dominato dal cambiamento. Non c’è un punto centrale. Il terreno del vivente è friabile. E’ instabile. E’ fumoso. Gautama demolisce l’atman, l’anima eterna e i discepoli chiedono: cosa si reincarna?” E il Buddismo risponde nei secoli: le azioni determinano il prossimo corpo senza che ci sia una sostanza eterna che salti come un grillo luminoso da un corpo a un’altro. Da un cadavere al nascituro. Come il fuoco di una candela che si spegne e che è trasmesso a un’altra candela.
Ma il Buddha non rinuncia alla carne, spiega ai suoi bhikshu, ai suoi monaci, che elemosinando il cibo possono mangiare i pezzi di carne mischiati nel riso, ma non possono uccidere per mangiare. Ma contro l’idea di mangiar carne insorgono il suo discepolo Devadatta, che diventa il Giuda del buddismo, e i jianisti.
Ma il jiainismo è una religione differente, è la religione del non umano per antonomasia.
Il Dalai Lama spiegherà molto più tardi che è obbligato a mangiare carne perché glielo ha imposto il dottore. Si resta sbalorditi. Ma quasi tutti i lama tibetani non lo seguono.

Il Buddha trova altri pensatori che l’osteggiano: Makkhali Gosala insegna che il karma è un invenzione braminica e il bene e il male sono concetti senza sostanza, mentre lo sramana, l’asceta, Purana Kassapa, della setta degli Ajivika, fa di peggio: insegna che gli stermini perpetrati dai vari monarchi, in perpetua guerra tra di loro, non sono peccaminosi ma necessari. A questo Gautama risponde che gli kshtriya, i guerrieri, che massacrano diventeranno scorpioni mentre il cavallo che muore in battaglia approderà al livello umano. La predicazione di Purana Kassapa potrebbe andare a pennello per i tagliagole dell’IS islamico. E da non dimenticare è il materialista Ajita Kesakambala che nega aldilà, karma, reincarnazioni e insegna che tutto finisce con la cremazione.
Ashes to ashes. Cinis et nihil.
Il Tempo del Buddha è definito da grandi controversie, è il tempo della “giungla delle opinioni”
I Kalama investiti dai mille credi degli asceti itineranti sono confusi e chiedono a Gautama in cosa credere: un sraman dice una cosa, un altro la confuta. L’illuminato che detesta dogmi e fanatismi li invita a dubitare di tutto e basarsi solo sul giudizio personale. Esistono variazioni notevoli nel mondo del buddismo e due esempi le evidenziano: il primo riguarda il monaco Maha Ghosananda che ebbe la famiglia massacrata dai Khmer Rouge, li perdonò e chiese che fossero invitati ai colloqui per definire la nuova Cambogia. Il secondo riguarda Shaku Soyen, un monaco zen, che giustificò l’imperialismo giapponese, i massacri in Manciuria e si rifiutò di firmare la condanna di Tolstoj per la guerra russo – giapponese spiegando al mondo che, se combattuta per una ragione giusta, la guerra non è necessariamente orrenda. Dopo il massacro di Nanchino leggere quello che insegna Shaku Soyen fa inorridire.
Ma così funziona il mondo: un santone, un monaco, un sraman, un taumaturgo, uno sciamano si sveglia la mattina, dopo una notte travagliata, e cambia la prospettiva dell’Oltremondo. Quattro parole e annienta una visione del mondo. Il problema è poi credergli.


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