Chi ci ha
denunciato per avere
manifestato “il completo disprezzo, l’odio e il discredito nei
confronti
dell’intera popolazione ebraica” avrebbe dovuto conoscere la
frase da noi
riportata in corsivo prima di scrivere che il Levitico è “un libro oggetto di studio da
migliaia di anni per una
vasta rappresentanza dell’intera umanità, ovvero oggetto di
culto nelle
funzioni religiose per tantissimi fedeli di diverse
confessioni, così per gli
ebrei oggetto di devozione e sentimento religioso profondo e
radicato”. Infatti
quanto noi avevamo scritto,
riferendoci agli ebrei credenti,
non a tutti gli ebrei,
è concettualmente
identico al contenuto della suddetta frase. Chi ha mentito
sapendo di mentire,
cadendo nel ridicolo - perché da quanto abbiamo
precedentemente esposto risulta
unicamente il nostro lecito disprezzo per certi contenuti
della Torah, come
quelli del Levitico -
è incapace,
perché avente i sensi ottusi dal pregiudizio e dalla
superstizione religiosa,
di riconoscere almeno che le pratiche descritte nel Levitico appaiono assai datate e che da allora
solo il fanatismo
religioso potrebbe farle ritenere attuali pretendendo che nei
mattatoi si pratichi
ancora il barbaro rituale ebraico-islamico. Lo disse già
l’ebreo Robert Kaplan,
citato da Patterson: gli ebrei credenti hanno sofferto a causa
dei nazisti
quanto soffrono tuttora gli animali nei mattatoi a causa degli
ebrei credenti.
E degli islamici. Chi si assomiglia si piglia!
E quanto al
rabbino di Roma,
che ha provocato due interpellanze parlamentari contro noi, è
bene che si
sappia quanto questo individuo è stato capace di scrivere: “
Nel pensiero
biblico mangiare carne è considerato non come un diritto
scontato, e un fatto
naturale, ma come un atto che comporta la violazione di un
ordine e che può
essere lecito solo a determinate condizioni…il permesso di
mangiare carne
segnala la posizione dell’uomo al vertice della scala del
creato, dato che in
natura ogni essere vivente si nutre di alimenti che sono
rispetto a lui in una
posizione gerarchicamente inferiore. In armonia con questa
spiegazione un
principio rabbinico vieta agli ignoranti di mangiare carne;
come a dire che
soltanto l’uomo che con la ragione dimostra la superiorità
sugli animali ha
diritto di sfruttare (sic!) il mondo animale”.[1]
Si dovrebbe
commentare
dicendo che il rabbino capo di Roma per coerenza non dovrebbe
mangiare carne, avendo
dimostrato di essere troppo ignorante nel suo appellarsi
ancora ad una
concezione gerarchica, e perciò antiscientifica, della natura
ricavata dal
testo nefando della Torah. All’ignoranza si aggiunge una
perfida e smaccata
ipocrisia tipica dell’ebreo osservante che può giungere anche
ad affermare che
“l’uccisione di qualsiasi essere vivente viene vissuta con un
senso di colpa.
Lo stesso sacrificio,
alle sue
origini, avrebbe questo senso di colpa come uno dei suoi
moventi fondamentali.
L’offerta dell’animale alla divinità non è il fine ultimo
dell’azione, ma il
mezzo per consentire all’uomo il consumo delle carni
dell’animale”. Infatti,
“se la morte dell’animale è un dono alla divinità, non dà più
origine ad un
senso di colpa. Successivamente il sacrificio avrebbe
acquisito significati più
ampi, di espiazione non solo dalla morte dell’animale
sacrificato, ma di tutte
le colpe commesse; ed è con questi significati che fu accolto
e celebrato dagli
ebrei”.
Ciò significa,
incredibilmente, che l’ebreo
osservante può persino convincersi di soffrire meno delle sue
colpe,
scaricandole sul povero animale, che certamente non soffre
meno se viene
immolato al dio sanguinario dell’ebreo credente. A parte ciò,
se nel terribile
passo citato non dominasse una spietata ipocrisia, che dominò
sempre il culto
esterno nella ritualità degli ebrei osservanti, tanto da
costringere Gesù ad
inveire contro di loro chiamandoli “sepolcri imbiancati”,
perché credevano di
purificarsi la coscienza dal peccato sacrificando animali,
invece di
rigenerarsi moralmente, varrebbe, in alternativa, la buona
fede degli uomini
primitivi, che, come si dirà meglio appresso, dopo avere
ucciso un animale o un
nemico, giungendo anche a forme di cannibalismo, credevano di
poter farsi
perdonare adorando gli spiriti delle loro vittime. All’origine
della Torah vi è
la stessa prassi del primitivo. Ciò che stupisce è che
l’ignoranza ancor oggi
possa far credere che la Torah sia un testo degno di rispetto
nonostante le sue
nefandezze.
Seguiamo
ora le istruzioni
da macellatore del rabbino capo di Roma. Egli scrive, sapendo
di mentire, che
la recisione delle arterie carotidi e delle vene giugulari
(senza previa
perdita della coscienza da parte dell’animale) “sospende
immediatamente (sic!)
la maggior parte del flusso cerebrale e determina entro 5-6
secondi una brusca
caduta della pressione arteriosa;…La perdita della coscienza,
che rende
impossibile la sensazione del dolore, si verifica quando il
flusso cerebrale è
del 50%. La pressione nei ventricoli cerebrali si abbassa
ancor più rapidamente
iniziando dalle aree corticali; entro 8-10 secondi dalla shechitah (cioè dal “rituale” colpo di coltello)
i centri regolatori
dell’equilibrio, che hanno sede nel cervelletto, cessano le
loro funzioni; la
percezione del dolore, che è controllata dalla corteccia
cerebrale, cessa ancor
prima. Per l’uomo si decide che l’anossia (mancanza di
ossigeno) nel cervello è
un modo piacevole di perdita di coscienza”.
Di fronte a
simile
sconcertante considerazione dovrebbe ritenersi, allora, che
sarebbe stata
altrettanto piacevole per il rabbino di Roma, come per tutti
gli ebrei osservanti,
la perdita di coscienza
nelle camere a gas in meno di un minuto. Non contento di ciò
il rabbino di Roma
fa riferimento ai “potenziali elettrici cerebrali” che
sarebbero stati misurati
con l’elettroencefalogramma (EEG) subito dopo la shechitàh, per concludere che essi “perdono il
loro aspetto normale
e continuano per un certo periodo; ma lo stesso avviene con
altri metodi di
macellazione, compresi quelli che ledono direttamente il
cervello…Alcuni
valutano che la mancanza di coscienza si verifichi dopo 7,5
secondi (notare la
precisione!) dalla shechitàh”. Ma stupidamente egli
riconosce che “i potenziali
evocati – registrati in aree particolari del cervello in
risposta a determinati
stimoli, visivi tattili, etc.) – persistono dopo la shechitàh almeno per 20 secondi, talora fino a
120”. E di fronte
alla possibilità che qualcuno ritenesse crudele tale pratica
anche nel caso di
una perdita di coscienza che durasse, per dissanguamento, 2
minuti,
l’ineffabile rabbino capo si appresta a precisare che “la
presenza di una
risposta (tattile e visiva) – e, aggiungiamo noi, con
disperati tentativi di
movimento del povero animale legato per terra su un fianco
destro, come impone
l’altra barbarie, purtroppo più frequente, degli islamici,
assai più numerosi
in Occidente, ed eredi anch’essi della barbarie della Torah –
non significa
necessariamente presenza di coscienza, né tanto meno di
percezione del
dolore…oggi non c’è alcun metodo scientifico per poterla
accertare o negare con
sicurezza”. E così il rabbino crede di salvarsi con il
beneficio del dubbio,
credendo di rivolgersi a degli idioti.
[1] Riccardo Di
Segni, Guida alle
regole alimentari
ebraiche, Ed. Lamed Roma 2000. Le pagine illustranti
la sconcertante difesa
della macellazione ebraico-islamica, tratte dal testo
citato del rabbino di
Roma, sono
comprese nella documentazione
giuntaci dall’associazione Animalisti
italiani.
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