Nei noti Toledot Yeshu (le storie di Gesù),[1]
scritti ebraici arrivanti sino al V secolo, a cui fa riferimento il rabbino
capo di Roma,[2]
che ne ha curato nel 1985 l’edizione italiana, si dice che Maria era sposata
con un certo Jochannàn, della stirpe di Davide, e che un vicino di casa, Josef
ben Pandera – notare la perfida precisione ebraica nell’inventare i fatti e i
nomi – si introdusse di notte nella casa di Maria mentre il marito era assente.
Maria, nel buio, giacque a letto con l’intruso credendo si trattasse del
marito, ma contro la sua volontà, trovandosi impura nel periodo delle
mestruazioni, che non le impedì, tuttavia, di rimanere incinta. Quando arrivò
il marito, che cercò di avere rapporti con Maria, questa protestò dicendo che
le sembrava strano che per la prima volta il marito pretendesse di avere
rapporti due volte di seguito con lei e per di più nel periodo delle
mestruazioni. E così si scoprì l’inganno. Il marito protestò pubblicamente, ma,
non avendo testimoni, per non subire l’onta delle corna, si trasferì in
Babilonia. E così Maria generò Gesù, figlio delle corna e concepito impuro.
Quando divenne adulto Gesù, che si vantava di saper compiere dei prodigi, fu
sottoposto ad una prova dai dottori della Legge che lo costrinsero a
rivaleggiare con Giuda Iscariota (il buono), che riuscì a volare più in alto
rispetto a Gesù, a cui urinò addosso facendolo precipitare a terra. Gesù,
incarcerato e liberato dai suoi discepoli, si rifugiò in Egitto, ma, tornato a
Gerusalemme, fu arrestato ed impiccato, in accordo con quanto raccontato anche
nel Talmud. Un giardiniere ne gettò
il corpo in una condotta d’acqua, e i discepoli, non trovandone il cadavere,
sparsero la voce che Gesù era risuscitato. Ma un rabbino trovò il cadavere di
Gesù dimostrando la falsità della sua resurrezione e i discepoli scapparono
disperdendosi tra varie nazioni. Per i Toledot,
come tuttora per il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, fiero di averne curato l’edizione italiana,
si tratta di un racconto normale, anche se oggi, in clima di pacificazione tra
ebrei e cristiani, è considerato scomodo e inopportuno, e causa di imbarazzo
nello stesso mondo ebraico. Ma noi l’abbiamo tolto dal dimenticatoio, e sarebbe
stato bene ricordarlo quando Giovanni Paolo II entrò nella Sinagoga di Roma per
abbracciare l’allora rabbino capo di Roma Toaff dicendo che gli Ebrei erano i
frateli maggiori dei cristiani, e sarebbe stato bene che qualcuno l’avesse
ricordato all’attuale papa prima dell’omaggio reso all’attuale rabbino capo di
Roma che ha curato l’edizione italiana dei Toledot
e che, paragonando la nascita di Gesù dalla vergine Maria alla nascita di
Minerva dal cervello di Giove, ha
commentato, sottolineando la nascita di Gesù da una relazione extraconiugale di
Maria, come se il racconto fosse vero e non dettatto dall’odio giudaico contro
i cristiani: “Altro che nascita verginale”.[3] Il libro dei
Toledot, già condannato nel
Medioevo dalla Chiesa, nel Dizionario
ecclesiastico del 1958 fu definito blasfemo, calunnioso ed osceno,
anche perché i miracoli di Gesù vi vengono rappresentati come magie di natura
malefica. Secondo un’altra tradizione rabbinica, tratta dallo scritto Toldos Jeschut, del II secolo, citato da
Voltaire (Storia dell'affermazione del cristianesimo, cap. 6), e ripresa dal Talmud
[4]–
il commentario ebraico ritenuto complemento della Torah - Gesù sarebbe nato,
tra i rapporti extraconiugali di Maria, da un rapporto con un centurione romano
di nome Joseph Panther, con la chiara intenzione ebraica di trasformare Gesù in
un figlio di puttana. Questa è la considerazione che ebrei ebbero di Gesù nella
tradizione rabbinica.
Ma non per questo si può
giustificare la falsità storica dell’accusa di deicidio rivolta dai
cristiani agli ebrei, che, oltre tutto, se fosse vera, sarebbero stati essi,
paradossalmente, chiedendo la morte di Gesù, a permettere la realizzazione del
cosiddetto disegno salvifico dell’incarnazione e della salvazione dell’uomo
tramite la macellazione del figlio del dio cristiano. Dunque i cristiani se la
prendano, piuttosto, con il loro dio, e non con gli ebrei, per quanto riguarda
questo tema. Anche se il dio cristiano, in quanto vuole il sacrificio di sangue
del figlio, appare, sotto questo aspetto, con la faccia del dio ebraico. Il
cristianesimo – e lo dimostreremo – sarebbe stato migliore se non avesse
accettato dalla tradizione ebraica l’idea del sacrificio di sangue come mezzo
di redenzione. Ma questo è un altro discorso, che svilupperemo ampiamente a suo
tempo. Per ora basti dire che la dottrina cristiana è fondata su una teologia
che ha assorbito l’influenza della filosofia neoplatonica greca, da cui è stata
desunta l’idea della trinità e in cui è stato innestato il dogma del peccato
originale, non ricavabile nemmeno esso dai Vangeli, che contengono soltanto un
messaggio morale, o dal Vecchio Testamento, artatamente interpretato dal
cristianesimo, avendo in ciò ragione gli ebrei credenti. Diversamente sarebbe
stato tutto chiaro, e non vi sarebbero state le “eresie” cristiane di Ario e di
Pelagio, che negarono la divinità di Gesù. Sino a quando non si riconoscerà la
falsità storica dell’accusa degli evangelisti agli ebrei di avere voluto la
morte di Gesù, la recente richiesta di perdono da parte di Giovanni Paolo II
rimarrà soltanto un atto vuoto di contenuto di verità ed una pura furbizia
politica ispirata ad un confusionario ecumenismo che non sradicherà
l’antisemitismo religioso.
Il nostro testo vuol
dimostrare che non vi è alcunché di divino nella Torah, e dunque non vi è
alcunché di divino nemmeno nei Vangeli, che si presentano illogicamente come
completamento della Torah, non avendo il Dio cristiano alcunché a che fare con
il dio ebraico. Dal confronto analitico delle origini della filosofia greca con
la religione ebraica emergerà in pieno tale contrasto, con la conseguente
necessità di escludere la religione ebraica dalle radici storiche
dell’Occidente. Abbiamo per questo utilizzato soprattutto, ma non unicamente,
la più grande opera di storia della filosofia antica, che va impropriamente
sotto i nomi di Edward Zeller (studioso tedesco del XIX secolo) e di Rodolfo
Mondolfo, che progettò l’aggiornamento critico-bibliografico della storia di
Zeller, facendo in tempo a curare alcuni dei primi volumi di essa, e lasciando
ad altri grandi studiosi il completamento dell’opera, che oggi è di 18 volumi
(dalle origini presocratiche al neoplatonico Proclo (del V secolo d. C.).
Un ringraziamento alla
memoria di Rodolfo Mondolfo, di origine ebraica ma ateo e marxista, considerato in vita il
maggiore storico vivente della della filosofia antica, e che le sciagurate
leggi razziali fasciste del 1938 costrinsero a lasciare l’Università e
l’Italia, dove, finita la guerra, fece ritorno dopo un soggiorno presso alcune
Università dell’Argentina, per continuare in Italia la sua infaticabile
attività di studioso.
Ma sciagurati furono anche i
decreti altrettanto fascisti del dopo guerra che non restituirono
l’insegnamento a chi, ebreo, ne era stato privato ma fu poi accusato di
precedente collaborazione con il fascismo. Ricordiamo il grande giurista
Giorgio Del Vecchio, uno dei pochi giuristi sostenitori del diritto naturale, e
Tullio Terni, professore di anatomia e accademico dei Lincei, che si suicidò poco
dopo. Ricordiamo, ma solo a ricordo perpetuo della loro ignominia, il giurista
Vincenzo Arangio-Ruiz, che firmò da ministro il decreto contro Del Vecchio, e
l’ebreo Levi, che, maestro di Del Vecchio, presiedette la Commissione
ministeriale di epurazione.[5]
[1] Yeshu (Gesù),
che è il dispregiativo di Yehoshua (Giosuè), in ebraico è una sigla che sta a
significare : “Sia cancellato il suo nome e il suo ricordo”.
[2] Riccardo Di
Segni, Il Vangelo del Ghetto, Roma
1985, pp. 51-52 (Citato dall’ebreo veneziano Riccardo Calimani nel suo documentatissimo Gesu ebreo (Rusconi 1990, pp. 187 e 370
sgg.),
[3] R. Di Segni,
op. cit., pp. 119-20 (cit. in R. Calimani, op. cit., p. 143).
[4] Vi sono due Talmud, uno palestinese che si chiude
nel IV secolo d. C., l’altro babilonese (della diaspora) che si chiude nel VI
secolo.
[5] Questi fatti
sono stati raccontati da Roberto Finzi in Il
difficile rientro (Editrice Clueb, pp. 224).
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