mercoledì 13 settembre 2017

LA PATRIA E' DEI NOSTRI AVI E DEI LORO DISCENDENTI



Sembra che la pazzia dell'ius soli non abbia una maggioranza al Senato. Se passasse sarebbe la fine del concetto di patria.   

Nel bene e nel male, è la terra dei nostri avi




Fonte: Il Giornale











 
Riporto sotto quanto ho scritto nel capitolo di un mio libro.
Aveva scritto Platone nelle Leggi a proposito dell’immigrazione: “Dopo vent’anni” - troppi – “gli immigrati prendano la loro roba e se ne vadano”. Già Platone aveva capito il pericolo di una immigrazione permanente, che avrebbe potuto espropriare gli ateniesi della loro politica e della loro identità se fosse stata concessa agli immigrati la cittadinanza.

La morale ideologica, che propaganda la società multirazziale, come se fosse un destino, e non il disegno di una follia politica, alimenta nuove malattie derivanti dall'incrocio dei genomi che da sempre erano rimasti isolati. In una società multirazziale aumenta la variabilità genetica, e conseguentemente l'incidenza delle mutazioni, con la corrispondente possibilità di aumento del numero di nuove malattie ereditarie, che non comparirebbero se i genomi rimanessero isolati. Una popolazione chiusa, come quella dell'Islanda, si troverà avvantaggiata quando si arriverà alla terapia genica delle malattie ereditarie.        
    Le generazioni future, se continuerà la follia ideologica della società multiculturale e multirazziale, dovranno maledire le conseguenze di tale follia. Se ne accorgeranno nel mingere. Soprattutto se verrà attribuita la cittadinanza agli stranieri nati in Italia e a coloro che siano residenti  da un certo numero in Italia. Non sono capaci questi folli della politica di capire – oppure lo capiscono ma antepongono la morale del buonismo alla politica  se non sono dei disonesti che vogliono prepararsi un pacco di voti  a sinistra sperando che gli ex clandestini diventino cittadini – che essi stanno mettendo in essere la teoria di Marx dell'“esercito di riserva” di disoccupati che serve a tenere bassi i salari per aumentare il profitto delle imprese. E oggi questo “esercito di riserva” è già costituito dagli ex clandestini regolarizzati, pronti a prendere il posto di lavoro dei licenziati perché disposti ad avere salari più bassi. Se gli immigrati avranno la cittadinanza  la situazione peggiorerà perché la disoccupazione si estenderà anche  per i posti di lavoro socialmente più qualificati.  E' evidente, infatti, che i figli degli ex clandestini non si adatterebbero a fare i lavori che – si dice –  gli italiani disoccupati non vogliano fare , e aumenterebbero la concorrenza per i lavori socialmente qualificati. Non sapendo resistere alla coalizione cattocomunista, anche la cosiddetta destra vorrebbe estendere la cittadinanza agli ex clandestini. In tal modo gli ultimi arrivati, divenuti cittadini, avrebbero gli stessi diritti degli italiani che hanno avuto come antenati coloro che, nell'arco di secoli, per una lunga serie di generazioni, combatterono per l'Italia, anche con sacrificio della vita, sino alle due guerre mondiali. Ognuno eredita anche le benemerenze dei suoi avi, che verrebbero vanificate se si concedessero eguali diritti agli ultimi arrivati, anche se non abbiano particolari benemerenze.    

  Purtroppo la classe operaia  è stata sostituita dalla falsa sinistra con la classe degli sbandati, dei drogati, degli omosessuali, dei frichettoni dei centri sociali, degli immigrati senza lavoro, complice di una politica che va a danno della classe operaia. Una sinistra traditrice di Marx. E' un paradosso.

  Si sta ripetendo quanto Montesquieu aveva rilevato in Considerazioni sulle cause dell'ascesa dei Romani e della loro decadenza (cap. 18), spiegando che una delle cause della decadenza dei Romani fu l'accoglimento dei barbari come federati e la loro inclusione negli eserciti:“I Romani dovettero cercare di placare con il danaro i popoli che minacciavano un'invasione. Ma la pace non è cosa che si compri perché chi l'ha venduta una volta non è in grado di farla ancora comprare...I barbari assoldati (negli eserciti) dai Romani...abituati a cercare più il bottino che l'onore, erano insofferenti della disciplina militare...Un ministro o qualche altro potente ritenne utile, per avidità, per desiderio di vendetta o per ambizione, far entrare i barbari nel territorio dell'Impero, non esitando ad abbandonarlo al saccheggio e alla devastazione”. Aggiunge Montesquieu in una nota che “ciò non deve meravigliare se si pensa alla loro vicinanza con popoli che erano stati nomadi, che non conoscevano alcuna patria e che spesso si accordavano con il nemico che li aveva vinti per lanciarsi contro il loro stesso popolo”.

   Si aggiunse poi la Chiesa, che con il voler convertire i barbari che invadevano l'Impero, cooperò con la sua predicazione a demotivare la resistenza e la difesa dei confini dell'Impero.

   Oggi si sta ripetendo lo stesso fenomeno dell'antichità.

  1) Da una parte la politica dell'accoglienza che crede di poter integrare gli islamici, pur essendo questi senza patria perché si sentono appartenenti all'Islam più che ad uno Stato, e - al contrario dei barbari che invasero l'Impero, che si convertirono spontaneamente al cristianesimo – non sono convertibili, non dico al cristianesimo, ma ad una concezione laica dello Stato. Per gli islamici vale quanto lo storico Giorgio Falco  (La Santa Repubblica cristiana, cap.V) scrisse riferendosi alla forzata coabitazione di Goti e Romani: “Essi dovevano formare due società distinte, rispettivamente giustapposte  o sovrapposte”. Nonostante fossero entrambi cristiani, ma i primi ariani e i secondi cattolici. Due società parallele con netta separazione etnica, con tribunali separati e Chiese separate, con proibizione di matrimoni misti, secondo la politica intrapresa da Teodorico (493.526). Questo fu il risultato dell'avere accettato i barbari entro i confini, come fece, per esempio, Costantinopoli dopo il disastro della battaglia di Adrianopoli (378), che indusse l'imperatore Teodosio ad incorporare i vincitori Visigoti nell'esercito con un “patto di alleanza” accettando la condizione che essi conservassero i loro diritti e i loro costumi. La conseguenza fu che   successivamente l'Impero d'Oriente, pur di liberarsi dei Visigoti, del tutto inaffidabili perché non integrabili, spregiudicatamente li dirottò verso Occidente, con il conseguente sacco di Roma (410), prima che  essi stabilissero in gran parte della Gallia e della Spagna. E quando il generale romano Oreste nominò come imperatore il figlio Romolo, detto ironicamente Augustolo, Odoacre, capo delle milizie barbariche, sconfisse Oreste e depose il figlio dichiarandosi re d'Italia e ponendo fine, anche nominalmente, all'Impero d'Occidente.             

  Al contrario, l'Impero d'Oriente riuscì a sopravvivere perché conservò una omogeneità culturale in cui, sulla base di una concezione  cesaropapistica del potere, l'imperatore era anche capo della Chiesa e perciò garante dell'unità religiosa. La scissione religiosa tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli fu la causa maggiore della debolezza dell'Impero d'Oriente (bizantino da quando il greco divenne lingua ufficiale), lasciato solo dal Sacro Romano Impero di fronte ai ripetuti assalti degli arabi e dei turchi, con la fine dello stesso Impero bizantino e con la conquista turca di Costantinopoli (1453). Il cristianesimo, con le sue scissioni interne, fu vittima più di se stesso  che delle armi islamiche.

   2) Dall'altra l'odierno ecumenismo interreligioso della Chiesa cattolica che ha posto le basi di una sua autodissoluzione, mentre, contraddittoriamente, rivendica le radici cristiane dell'Europa e ne ha sempre chiesto il riconoscimento nel Trattati europei, prima di Nizza (2001) e poi di Lisbona (2007).

 Una Chiesa schizofrenica, che coopera all'autodissoluzione dell'Occidente con la politica d'accoglienza degli islamici, molto peggio dei barbari germanici perché non convertibili alle tradizioni occidentali.            

  E' stupefacente il fatto che oggi la stessa Chiesa, dimentica della sua storia, si richiami alla libertà religiosa per alimentare la propaganda islamica, andando contro lo stesso Vangelo, perché fa finta di ignorare le frasi di Gesù: "chi non è con me è contro di me" (Matteo, 12, 30);"Non pensate ch'io sia venuto a metter pace; non son venuto a metter pace ma spada" (Matteo, 10,34). Ove "spada" ha un significato metaforico, e non fisico, come nel Corano, ove la spada serve per massacrare in non credenti in Allah. Non valgono a favore degli islamici nemmeno le parole meno restrittive che Gesù rivolse ai discepoli: "Chi non è contro di noi è per noi" (Marco, 9,40). Se ne deduce che i veri cristiani dovrebbero dire, quanto meno: chi è contro di noi non è per noi. Infatti, in base al Corano, tra gli infedeli, da combattere, sono compresi anche i cristiani, soprattutto per avere concepito la trinità e per avere considerato Gesù figlio di Dio, invece che solo uomo. Né gli islamici perdonano ai cristiani di avere scritto che Gesù morì in croce e risorse. Secondo essi in croce morì un sosia di Gesù. Solo un pazzo poteva scrivere una cosa simile.

  Oggi la Chiesa può ben essere rappresentata da uno scriteriato antievangelico come l'arcivescovo di Milano Tettamanzi. Già nel 2006 egli dichiarò che il suo dovere di prestare tutela a tutti discende dalla missione di annunciare il vangelo (Corriere della sera, 28 maggio 2006). Recentemente ha detto che gli islamici hanno diritto ad avere una moschea in ogni quartiere. La Chiesa, in tal modo, non soltanto ha rinunciato anche all'uso metaforico della spada contro gli islamici, avendo rinunciato a fare azione di proselitismo nei loro confronti, sapendo che sarebbe tempo perso, oltre che pericoloso, ma li accoglie in un connubio ecumenico e antievangelico. La morale della solidarietà entra subito in ballo per propagandare la politica dell'accoglienza di ogni sorta di rifugiato, anche quando essa sia in palese contrasto con il diritto. 

   La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati recita: Il rifugiato è colui "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra".                                              

  Come si vede, non vi è alcun riferimento ai rifugiati di guerra ed economici. Un perseguitato politico, per esempio, ha diritto d'asilo. Ma non possono accampare diritto d'asilo i rifugiati di guerra (provenienti da Paesi in cui vi siano guerre civili, come in Somalia, in Eritrea, etc.) e i rifugiati economici.

  I disonesti, di fronte alla politica dei respingimenti, hanno dichiarato che prima si sarebbero dovute verificare le domande di asilo. Come se fosse possibile distinguere tra aventi e non aventi diritto d'asilo trattandosi di fuggitivi provenienti dagli stessi teatri di guerra, che sono affari loro, se hanno voluto l'indipendenza.    

  Se l'Europa (già affollata dagli europei) avesse il dovere di accogliere i  rifugiati di guerra ed economici provenienti da tutti i Paesi del mondo ove vi siano fame o guerra, si voterebbe alla sua autodissoluzione.  E la Turchia sarebbe ben contenta di spedire in Italia, ventre molle di un'Europa senza coglioni, ma con governi   coglioni, gli odiati Kurdi. A tutti i folli della politica che blaterano di doveri morali e di soccorsi umanitari (con il tam tam della Chiesa) bisognerebbe domandare su quali basi essi pretendano di doversi fare carico dell'assistenza ai rifugiati di guerra ed economici. Per quanto riguarda i Paesi africani (in cui vi sono farse di governi, incapaci e corrotti) si può dire che essi hanno voluto la bicicletta (l'indipendenza). E dunque che pedalino senza venire poi ad affollare ancor di più l'Europa. Ad essi sarebbe convenuto rimanere sotto governi europei, per richiedere il diritto di cittadinanza in quanto appartenenti a province africane.[1] I soliti idioti (o disonesti) dicono che anche gli italiani sono stati un popolo di emigranti. Ma allora l'emigrazione avveniva provenendo da spazi ristretti verso spazi larghi (gli Stati Uniti, l'Argentina, il Brasile etc.). Ora sta avvenendo il contrario. Da grandi spazi, dell’Africa e dell’Asia, verso piccoli spazi, dell’Europa già affollata.  Di questo passo gli europei se ne dovranno andare per lasciare il posto a questi nuovi invasori, che più sono poveri e più sono capaci di fare l'unica cosa che sono capaci di fare: far figli come conigli in allevamento, aumentando la fame nel mondo.                                                    . 
 

   Se non si sostituisce al folle ius soli l'ius sanguinis come fondamento della cittadinanza – con eccezioni per particolari benemerenzesi deve accettare l'assurdo di un neonato che acquisti la capacità di estendere ai genitori, anche se clandestini, la cittadinanza, mentre, in alternativa, i genitori, se non volessero abbandonare il neonato a causa della loro espulsione, dovrebbero portarlo con sé nel Paese di origine vanificando la cittadinanza acquisita dal figlio, che avrebbe, tuttavia, una doppia cittadinanza, quella acquisita e quella dei genitori. Ciò in contrasto con il principio dell'ius sanguinis sulla base del quale la legge italiana assegna  la cittadinanza italiana al figlio di una coppia di italiani nato in un Paese straniero.                                      
   [1]  Così considerava l'Angola e il Mozambico il dittatore del Portogallo Salazar.

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