Riporto qui quanto avevo scritto su di lui nel mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica.
Negli ultimi anni si è affacciato,
anche se tardivamente, sui giornali1 e alle TV in Italia un nuovo “guru”
della filosofia, Giulio Giorello, allievo eretico di Ludovico Geymonat. Benché filosofo
della scienza ed ex docente universitario di matematica superiore, pare che,
come filosofo e matematico, non faccia buon uso della logica. Egli, infatti,
volendo contrastare le sopra esposte tesi di Ratzinger e di Pera - citando come
numi tutelari Nietzsche (con la sua contraddittoria affermazione che non
esistono verità ma solo interpretazioni) e Feyerabend (con la sua teoria
anarchica nella formazione della conoscenza scientifica, che contrasta di
fatto con il suo linguaggio cumulativo) - ha scritto che “troppo spesso si
dimentica che il contrario di relativismo è assolutismo”.2
Pertanto Giorello contrappone ad ogni dogma il principio della libertà, ma
senza domandarsi come esso possa giustificarsi, essendo egli alieno da ogni
questione che riguardi i fondamenti, riguardando la scienza soltanto i
fenomeni. Ciò porterebbe alla conclusione, che Giorello non percepisce, che
nella scienza non vi siano verità, giacché egli, per esempio, riferendosi alla
teoria dell’evoluzione di Darwin, la interpreta entro una concezione che fa
capo al fallibilismo come atteggiamento di fondo dello scienziato. Orbene, è
proprio qui che il fallibilismo fallisce. Vi sono infatti nella conoscenza
scientifica teorie che non sono più tali, come la rotazione della Terra intorno
al suo asse (da quando Foucault fece il famoso esperimento nel Pantheon di
Parigi nel 1850), il movimento ellittico, e non circolare, dei pianeti intorno
al sole, e la stessa evoluzione biologica nel suo postulare un’origine comune
di tutte le forme di vita, animale e vegetale. La lista potrebbe proseguire di
molto. Si tratta ormai di verità incontrovertibili, e perciò si potrebbero
chiamare dogmi scientifici, anche se l’espressione può apparire contraddittoria.
Ciò serve a sbarazzarsi del relativismo come atteggiamento di fondo della
ricerca scientifica. Il fallibilismo esiste ai confini della conoscenza, per
esempio nelle teorie cosmologiche. Se non esistono verità nella scienza vada
Giorello, in caso di malattia, a farsi curare da uno sciamano. Inoltre Giorello
non si è accorto di essere partito da un dogma, quello della libertà, che si
sottrae al fallibilismo, e perciò al relatvismo. E perciò torniamo da capo:come
giustificare questa libertà se non facendola discendere da un diritto naturale,
evitando il discorso sui valori morali, che ci portano al relativismo? Se la
filosofia continua ad ignorare il diritto naturale è destinata ad esprimersi
come nel confusionario Giorello, il quale ha sfiorato, senza rendersene conto,
il diritto naturale quando ha scritto: “Ciascun individuo deve avere un uguale diritto
al sistema totale massimo di uguali libertà per tutti”.3 Perché deve? Come
giustificare il “deve”? Qui non vi è una questione di fatto, ma di diritto: il
liberalismo, come principio, è una conquista dell’età moderna nell’Occidente. E
ciò basterebbe a giustificare, sotto questo aspetto, la superiorità
dell’Occidente. Diciamo anche cristiano, se la libertà, almeno teoricamente, ha
fondamento anche sul concetto di “dignità della persona umana” che, pur in
contrasto con una certa storia della Chiesa cattolica dei papi, è stata
sostenuta nella dottrina cristiana e nella filosofia dei filosofi cristiani. Vi
è una sola cosa giusta in ciò che Giorello ha scritto nel suo libello (che gli
esterofili chiamerebbero pamphlet): la necessità dell’indifferenza (da
parte dello Stato) per ogni religione, che Giorello, tuttavia, confonde,
contraddittoriamente, con la tolleranza, che implica il riconoscimento. Lo
Stato deve ignorare ogni religione, al contrario dello Stato italiano, che
vuole riconoscere assurdamente pari dignità ad ogni religione, fin nella
dichiarazione dei redditi con l’otto per mille. In Italia, con l’esentare la
proprietà ecclesiastica dal pagamento dell’Ici, si sta tornando vergognosamente
indietro rispetto al pensiero espreeso da uno dei più grandi filosofi di tutta
la storia, il francescano Guglielmo di Ockham (1290- 1349), che scrisse
chiaramente che tutte le norme mediante le quali si acquista, si trasferisce la
proprietà appartengono al diritto umano e non rientrano nell’ambito del diritto
divino, per cui la proprietà ecclesiastica non può rivendicare un regime
giuridico diverso e privilegiato rispetto a quella laica (Breviloquium de
principatu tyrannico, Lib. III, cap. 7). Si sta arrivando all’accoglimento
delle proteste di Bonifacio VIII, respinte dal re di Francia Filippo il Bello,
che aveva sottoposto i beni ecclesistici al pagamento delle tasse. Se si aggiunge
il solito scriteriato principio del riconoscimento di pari dignità ad ogni
religione si dovrebbe esentare dall’Ici qualsiasi setta religiosa, anche la più
pazza, fosse pure quella della dea Kalì o dei cultori di Satana. L’esenzione
dovrebbe essere considerata anticostituzionale non avendo quelli che pagano la
stessa tassa alcun ritorno da quelli che ne sono esenti. Si può giustificare
l’esenzione per quegli edifici dove si svolgano attività assistenziali, non
avendo fini di lucro. Ma allora la questione deve essere separata dalla
proprietà ecclesiastica, non avendo questa, di per sé, alcuna rilevanza. E’ un
esempio di come si stia vivendo in un periodo di totale confusione, anche in
spregio al motto evangelico "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio
quel che è Dio". Trasgredire a questa regola, commentò Ockham, significa
abbandonare il cristianesimo ed accettare il giudaismo (Opus nonaginta
dierum, cap. 93).Nella prospettiva del francescano Ockham non può
sussistere alcun rapporto tra ragione e fede poiché sul piano della ragione
l’esistenza di Dio è solo probabile, non assoluta e necessaria, trattandosi di
un’esperienza individuale, che, tuttavia, deve essere sottoposta alle regole
della ragione.4
Tornando a Giorello, egli si domanda
quali siano le radici dell’Europa: qui egli dà il meglio di sé (in negativo)
cercando di neutralizzare la radice greca facendo riferimento alla precedente
storia delle “civiltà del Vicino Oriente” – dimostrando così di non avere
capito alcunché della profonda diversità tra la razionalità scientifica e
filosofica dei Greci (il Logos della natura) e i contenuti ancora
mitologici e pragmatici della scienza mesopotamica – e nobilitando persino
l’islamismo arabo come radice europea, facendo finta di non sapere che la
filosofia araba è una ripetizione non originale di quella greca (come
nell’aristotelico Averroè e nel neoplatonico Avicenna), e che, egualmente,
l’algebra araba non sarebbe mai esistita senza quella greca di Diofanto e
quella indiana, da cui essa prese la numerazione impropriamente chiamata araba.
E i più importanti testi matematici in lingua araba sono del persiano
al-Kwarizmi (da cui algoritmo). La chimica araba fu copiata dalla Cina, da cui
fu tratta la concezione dei due elementi fondamentali, lo zolfo e il mercurio,
per cui essa era destinata a non avere progressi. La filosofia araba si
presenta, comunque, slegata dal Corano, e i capi religiosi islamici la
contrastarono come eretica, impedendole di lasciare tracce nell’islamismo. La
scienza e la filosofia araba, protette dai califfi di Cordova e di Baghdad,
furono un fenomeno di corte e non di civiltà. Si trattò di una fioritura laica,
che, in quanto tale, era destinata a perire presto e per sempre, soverchiata dall’irrazionalismo
del Corano. Gli arabi, privi di originalità, furono bravi nel copiare anche dai
Greci, ma traducendo gli autori greci soprattutto grazie all’apporto dei
progughi cristiani nestoriani, che, combattuti come eretici nell’Impero
bizantino, si erano rifugiatisi in Persia molto tempo prima dell’occupazione
araba. Dunque troviamo anche il cristianesimo all’origine della breve fioritura
araba. E’ grave che Giorello abbia dato un’immagine distorta del pensiero
antico e arabo nel suo trattare la storia con molta superficialità.
Date queste premesse non può fare
meraviglia che la libertà difesa da Giorello finisca con il disarmarsi
arrivando a negare se stessa in un mascherato ecumenismo che, sminuendo la
superiorità dell’Occidente, arriva a difendere la “libertà” dei ceceni islamici
di negare la libertà ai non islamici con l’instaurazione di un regime islamico,
senza considerare che, data anche solo una minoranza di russi o di ceceni non
islamici in Cecenia, questi hanno il diritto di vivere in uno Stato non
islamico. Sarebbe disposto Giorello a vivere in una Cecenia governata dalla
legge islamica, mentre egli definisce Putin un macellaio perché si è opposto a
questo? La sua concezione della libertà è del tutto utopistica perché
presuppone che dall’altra parte vi siano interlocutori che abbiano la stessa
concezione della libertà e che siano disposti ad accettare una società aperta,
per cui, partendo da questo falso presupposto, arriva a scrivere che bisogna
tollerare qualunque cultura “e bisogna farlo con una tolleranza che io chiamo
costruttiva: è quella di chi lascia parlare e magari ne approfitta per imparare
qualcosa”.5
Qualunquismo culturale, verbalismo che non può reggerebbe alla prova dei fatti
quando mancasse la condizione della reciprocità.
Per tali motivi Giorello non ha
capito che il regime comunista in Afghanistan era il governo migliore possibile
in quella situazione, almeno perché laico, mentre si è poi visto che cosa è
capitato quando, a causa della sconsiderata politica statunitense, che
finanziava la guerriglia contro il governo comunista, provocandone la caduta, è
stata lasciata agli afghani islamici la libertà di decidere. L’11 settembre è
stato la giusta nemesi di tale sconsideratezza. Giorello avrebbe preferito
vivere come laico sotto il regime comunista protetto dai sovietici o sotto i
talebani? Giorello non si accorge nemmeno della confusione che ha in testa,
perché, sostanzialmente, come tutti gli ecumenisti, relativisti, si può permettere
le sciocchezze che scrive vivendo in un Paese occidentale che glielo consente,
ma su cui, vergognosamente, da miserabile, come tutti i relativisti, si
permette di sputare, come sul piatto in cui mangia. Vada Giorello a sostenere
in uno Stato islamico “il principio che qualunque idea, anche la più stramba,
abbia il diritto d’avere difensori pubblici”,6 prima di fare il “saggio” in
Occidente sfondando porte aperte perché non può sfondare porte chiuse
nell’Islam. La ciliegina sulla torta delle idiozie espresse dal “guru” Giorello
è l’affermazione “mi preoccupo di uno Stato che avoca a sé il monopolio della
violenza”.7
E’ incredibile. Come se lo Stato per sua natura non avesse proprio questo
compito. Potrebbe forse lasciare la violenza ai cittadini? Al contrario, la
libertà viene a mancare quando lo Stato non è capace di avocare a sé la
violenza lasciandola alla criminalità. Vada Giorello a leggersi o a rileggersi
il Leviatano di Hobbes. Ecco a chi oggi è affidata la “saggezza”
filosofica sui quotidiani e nelle TV.
Ma perché il “saggio” Giorello, che
- come è scritto in un’intervista – “figura tra i saggi del Paese” (!) , ha una
concezione così confusionaria della libertà? Perché ha capito che non gli
conveniva fare riferimento al diritto naturale. Egli ha infatti chiuso il
citato libello scrivendo: “E’ lo spirito del fallibilismo, per cui per anni
Marco Mondadori e io abbiamo dedicato le nostre riflessioni. Non andremo più a
caccia insieme, poiché Marco è mancato il giorno di Pasqua del 1999”. Qui sta
la spiegazione di tutte le idiozie che scrive Giorello sulla libertà: egli
appartiene alla schifosa genia dei cacciatori, cioè a quella categoria di
individui che considerano l’uccidere uno sport o un divertimento. Ora si
capisce perché non possa richiamarsi ad un diritto naturale e vada cianciando
di libertà senza intendere ciò che dice. Simili individui farebbero meglio a
tacere per sempre, invece di predicare confusioni ed inganni.
2 Di nessuna chiesa. La libertà
del laico, Cortina 2005, p. 33. La striscetta sulla copertina dice: “I
laici tendono a difendersi, è tempo di attaccare”. E’ vero. Ma attaccando anche
le confusioni ecumenicistiche di Giorello.
4 Non bisogna, tuttavia tacere le
conseguenze dell’empirismo di Ockham, che subordinando le idee, cioè
l’intelletto divino, alla sua volontà, introduce pericolosamente il giudaismo
nel cristianesimo. Il Dio di Ockham si esprime, più che nella priorità della
trinità, nella priorità del "Padre onnipotente", causa delle idee e
non vincolato dalle idee. Da qui il suo cristianesimo nella politica e il suo
giudaismo nella teologia. Da qui la contraddizione del ritenere che la legge
naturale sia anch’essa una creazione divina. E’ la stessa posizione, come si
vede, di Benedetto XVI, contro quella di S. Tomaso, anche se il papa, forse,
non ha preso coscienza di ciò. E’ sempre in tempo per accorgersene.
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