Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica
Se si tenessero presenti queste considerazioni, da parte di credenti e non credenti, si finirebbe di blaterare sul rispetto della vita degli embrioni, perché chi li difende dovrebbe prima poter domandare ad essi se preferiscano nascere, cioè di fare l’esperienza della morte.
Forse per porre rimedio all’assurdità di una vita vissuta nella continua anticipazione della morte a cui l’uomo, al contrario degli altri animali, è costretto (come scrisse Heidegger in Essere e tempo), Platone – e con lui tutta la tradizione neoplatonica - riprese da Pitagora la teoria della reincarnazione e della metempsicosi nel Fedro (247 sgg.), nella Repubblica (libro X) e nel Timeo (90e sgg.).In questo modo i genitori, incolpevoli, diventavano soltanto la causa contingente di una rinascita già segnata nel destino di ognuno nel ciclo eterno delle reincarnazioni dell’anima increata.
Gli uomini nascono sempre o per sbaglio o per egoismo dei genitori. E’ lo sbaglio che differenzia gli uomini dagli altri animali.
Vale inconsciamente anche la
tendenza a sopravvivere nella discendenza oltre al cercare di pensare meno a se
stessi e alla morte creandosi delle responsabilità per fornirsi di scopi
illusori nella vita, in un circolo vizioso. Ma si può dire, con Pascal, che
“ciascuno morirà solo” (Pensieri). In
terzo luogo, se fosse vero che nell’embrione vi è già l’anima immortale, poca
cosa sarebbe una vita pur lunga e beata di fronte alla certezza dell’anima
dell’embrione di avere una vita immortale di beatitudine, non essendo sottoposta
al rischio di una vita eterna di dannazione diventando individuo adulto. La
Chiesa, condannando l’aborto, preferisce che ognuno, nascendo, corra questo
rischio, che l’embrione, privo di colpe, non può correre, mentre dovrebbe
riconoscere che, dal suo stesso punto di vista, l’aborto sarebbe una fabbrica
di anime beate. Lo stesso papa Giovanni Paolo II ha scritto in un documento (Evangelium vitae) rivolto alle donne che
hanno abortito che i loro mancati figli sono stati ricevuti “nella gloria di
Dio”. E allora? Perché Dio dovrebbe punire le madri che hanno abortito? Ma, a
parte questi paradossi, che sono conseguenti ad una concezione morale
contraddittoria, vi è da domandarsi se valga maggiormente la salvezza di un
individuo già formato, soggetto cosciente del diritto alla vita, garantibile,
perché malato, dall’impiego di tessuti od organi ottenuti dalla coltura di
embrioni, piuttosto che quella di un embrione che non può nemmeno desiderare di
nascere e non può tendere a conseguire un benessere fisico che non conosce,
essendo mancante di quegli organi e di quelle facoltà naturali che ne sono la
premessa. Si vede come la morale riesca persino, contro il diritto naturale, a
farsi sostenitrice di un diritto alla morte, e non alla vita, del soggetto
malato a favore di chi non esiste nemmeno come individuo.
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