mercoledì 3 settembre 2014

SIA IMPICCATO. MI OFFRO COME BOIA ESECUTORE DI GIUSTIZIA

Oggi ricorre l'uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente della scorta Domenico Russo. Ma nessuno ricorda questa triste ricorrenza. Me ne ricordo io. Tra i vari mandanti del triplice assassinio vi erano Totò Riina e Bernardo Provenzano, i maggiori capi di Cosa nostra. Mandanti anche dell'assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.   
Dalla Chiesa accettò di essere nominato prefetto a Palermo dopo che aveva sconfitto le Brigate Rosse. Ma accettò riluttante il nuovo incarico perché sapeva che era tutt'altra cosa sconfiggere la mafia. Le Brigate Rosse non avevano mai avuto un supporto nella popolazione, compresa la classe operaia. Gli fu facile usare le confessioni di qualche pentito per smantellare in poco tempo il vertice delle Brigate Rosse. Il fatto è che i giovani visionari e fanatici delle Brigate Rosse pretendevano di combattere contro lo Stato borghese, mentre nal caso della mafia Dalla Chiesa si trovava a combattere contro una ramificata organizzazione che non combatteva contro lo Stato ma  con la collusione dello Stato. E oggi questa mafia collusa con lo Stato esiste ancora, anche se ha preferito "sommergersi" piuttosto che apparire ancora con le stragi del passato per meglio condurre nel silenzio i propri affari. Ma perché è impossibile sconfiggere la mafia (come l'ndragheta in Calabria e la camorra a Napoli)? Perché viviamo in uno Stato cosiddetto democratico (democrazia da burla) che è il terreno di coltura migliore per la collusione tra delinquenza organizzata e politica. Buffonesche le leggi antimafia. 
Il famoso prefetto "di ferro" Cesare Mori disse nel 1917 che "Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero ». Aveva capito bene. Era impossibile sconfiggere la mafia senza arrivare ai loro protettori che erano i politici e che bisognava usare metodi radicali. Con questi metodi riuscì ad avere risultati positivi già allora. Furono arrestati 300 capi della mafia. Successivamente non si fece alcuno scrupolo, come prefetto di Bologna, nel combattere le squadre fasciste. Eppure fu lo stesso Mussolini che vide in lui l'uomo adatto per combattere la mafia siciliana, che non era però la mafia di oggi in quanto aveva ancora un cosiddetto codice d'onore (non dovevano, per esempio, essere toccati le donne e i bambini).  Ma Mussolini gli diede POTERI STRAORDINARI che gli permisero di usare metodi extra legali per combattere anche i signorotti siciliani che erano collusi con i mafiosi, appartenenti non ai grandi proprietari terrieri ma a delle bande che ricattavano i grandi proprietari costringendoli ad essere loro complici. Contro i mafiosi Mori usò anche la tortura e il ricatto nei riguardi delle famiglie dei mafiosi prendendole come ostaggi. Cosa che oggi per questa corrotta democrazia è impensabile. Così riuscì a fare molti rastrellamenti casa per casa. Ma per far questo si iscrisse  al partito fascista. Forse anche per convinzione avendo capito che soltanto con metodi illegali (concessigli dal fascismo) poteva essere sconfitta la mafia. E per ottenere dei risultati dovette avere il coraggio di incriminare anche politici fascisti siciliani collusi con la mafia, e sempre con l'appoggio di Mussolini, coinvolgendo culturalmente la popolazione siciliana contro la mafia. Sino a quando, avendo Mussolini creduto di avere sconfitto la mafia (molti capi mafia erano emigrati negli Stati Uniti), per evitare che la stessa immagine del fascismo venisse ulteriormente sporcata colse l'occasione dell'età del pensionamento di Mori per metterlo a riposo. Da notare come, pur esistendo nel fascismo la pena di morte, questa non sia mai stata applicata contro i capi mafia. Non furono nemmeno deportati in piccole isole dove non potessero più avere collegamenti con il territorio. Invece le piccole isole (come quella di Ponza) furono usate solo per certi oppositori politici del fascismo.  
Ma finito il fascismo gli americani posero al potere in Sicilia dei mafiosi, purché fossero antifascisti. E così quella mafia che era rimasta latente sotto il fascismo, riemerse con prepotenza nella cosiddetta democrazia.  
La storia del prefetto Mori è illuminante perché ci spiega le cause del fallimento e della morte di Dalla Chiesa, a cui furono negati dal governo (essendo allora ministro dell'interno il democristiano Virginio Rognoni) quegli stessi metodi di cui poté disporre Mori. Dalla Chiesa aveva un organigramma di tutti i maggiori capi mafiosi. Chiedeva che essi venissero arrestati. Ma la sua richiesta non venne esaudita perché dai politici gli furono negati poteri speciali che gli consentissero di farli arrestare. I suoi stessi collaboratori gli obiettarono: e le prove dove sono? Il parlamento, sordo e grigio, non lo protesse nemmeno come avrebbe dovuto fare con una scorta rafforzata. Infatti quando venne ucciso nella sua utilitaria (un autobianchi perché non ebbe nemmeno un'auto blindata) vi era solo una inutile auto di scorta, in cui si salvò l'autista ma venne ucciso il poliziotto Domenico Russo. L'organigramma, che Dalla Chiesa custodiva nella cassaforte di casa, non fu mai trovato. Evidentemente infiltrati su comando di potenti politici avevano fatto sparire l'organigramma, che certamente comprendeva anche i loro nomi. Dalla Chiesa avrebbe dovuto fare varie copie di tale organigramma per consegnarli anche ai figli Nando E Rita. 
I governi cosiddetti democratici hanno creduto (o fatto finta di credere) di poter sconfiggere la mafia usando i cosiddetti pentiti, cosa che Mori rifiutò sempre di fare perché giustamente ritenne che lo Stato non dovesse venire a patti con i criminali. E questa è la maggiore vergogna di uno Stato. 
La mafia deve essere considerata un nemico interno allo Stato, e il nemico non può essere combattutto con leggi di pace ma con leggi di guerra. Meglio usare la tortura, come fece Mori, per costringere i mafiosi a confessare i nomi dei loro complici demolendo le gerarchie piuttosto che venire a patti con i falsi pentiti. I mafiosi sono dei subanimali, contro cui non possono essere usati gli stessi metodi che si impiegano contro la delinquenza comune perché contro di essi valgono metodi diversi, adatti ad una criminalità organizzata, che, come tale deve essere dichiarata  nemica dello Stato.    
Rousseau nel Contratto sociale (1762) considera la pena di morte entro una concezione retributiva sul presupposto che il cittadino è obbligato ad obbedire alla volontà generale (della maggioranza) quale condizione della conservazione del patto sociale, che implica la conservazione della vita dei contraenti. Scrive Rousseau: "Chi vuole conservare la vita con il contributo degli altri deve essere anche disposto a morire dal momento in cui cessa di essere membro della società perché ne è divenuto nemico con il suo delitto. La conservazione della società in tal caso è incompatibile con quella del criminale".
Aggiunge Rousseau nel Contratto sociale che “è appunto per non essere vittime di un assassino che noi consentiamo a morire se diventiamo tali…Ogni malfattore diviene a causa dei suoi delitti nemico della patria; cessa di esserne membro; a questo punto la conservazione dello Stato è incompatibile con la sua; bisogna che uno dei due perisca”. 
 Tradizionalmente Beccaria viene presentato come oppositore della pena di morte. Ma gli ignoranti ignorano che Beccaria faceva eccezione per la criminalità organizzata. 
Beccaria (Dei delitti e delle pene, cap. XXVII) continuò a giustificare la pena di morte se “la morte di qualche cittadino diviene necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini tengon luogo di leggi”.
Bisognerebbe dunque concludere che Beccaria non sarebbe oggi contrario alla pena di morte almeno per i delitti di mafia, in cui “i disordini tengon luogo di leggi”, o contro i trafficanti di droga, cioè di morte, siano collegati o non con la mafia. La mafia non può essere combattuta democraticamente, ma sospendendo nelle regioni mafiose ogni forma di rappresentanza politica, esposta localmente ai ricatti mafiosi, e ogni forma di garanzia costituzionale nei confroni delle famiglie mafiose, a cui soggiace anche tutto l’apparato giudiziario, dalle guardie carcerarie ai direttori delle carceri sino ai magistrati che dovrebbero giudicare i criminali mafiosi, i quali smetterebbero di comandare e ricattare anche dal carcere soltanto se venissero giustiziati con la pena di morte. Soltanto da morti non potrebbero più comandere e ordinare altre uccisioni. Si sa quali sono le famiglie mafiose, e quando si peschi dentro di esse si pesca sempre bene, senza andare per il sottile. Uno Stato che non voglia intendere ciò è o buffone o connivente con questa feccia di specie soltanto biologicamente umana. Merito principale di Beccaria è l’avere evidenziato la necessità di “una proporzione tra i delitti e le pene”. Ma proprio tale proporzione sarà rivendicata da Kant contro Beccaria per giustificare la pena di morte.
Come possono essere tenuti in vita criminali come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Nino Brusca (che confessò di avere ucciso almeno duecento volte, compreso un tredicenne, Giuseppe di Matteo, sciolto nell'acido, di essere stato un manovale nella strage di Capaci dove (il 23 maggio 1992) fu ucciso Falcone con tutta la sua scorta? Il cosiddetto pentito Brusca fu premiato vergognosamente con una condanna a 19 anni ma con il permesso di libera uscita per poter visitare i familiari in località protetta. Ma si scoprì che continuava dal carcere a comandare gestendo il suo patrimonio. 
Perché è questo che bisogna soprattutto tener presente. Questi criminali, oltre ad essere tali, sono anche stronzi irrimediabili perché non possono godersi la ricchezza accumulata con il crimine, dovendo sempre vivere con la paura di finire in galera o di essere uccisi da bande rivali. Essi sembrano non avere tanto interesse alla ricchezza, quanto alla libido del comando, che possono soddisfare anche dal carcere. Il comandare è per essi un orgasmo continuo. Perché allora tenerli in vita se la loro vita vale meno di quella di qualsiasi animale non umano, valendo meno di un insetto nocivo?
Ecco perché ho detto nel titolo che criminali come questi dovrebbero essere tolti dalla faccia della Terra. Perchè tenere ancora in vita il super criminale Riina che, non ancora contento del suo passato, ha detto pochi giorni fa che bisogna far fuori Don Ciotti, che per questo deve vivere adesso sotto particolare protezione? Se Totò Riina fosse stato impiccato non si sarebbe potuto permettere di richiedere dal carcere la morte di Don Ciotti.    
Uno Stato vero, e non falso come quello italiano, se si sentisse veramente in guerra contro la mafia, dovrebbe usare le leggi di guerra, dove è prevista la rappresaglia. Il criminale Riina vuole la morte di Don Ciotti? E allora dovrebbe sapere che scatterebbe la rappresaglia, essendo lui il primo ad essere impiccato. Ed io mi proporrei (magari incapucciato) come boia: un bel cappio al collo, si manovra una leva, si apre una botola, e giù. Il criminale Riina ed altri come lui finirebbero per sempre di comndare. Un lavoro pulito, senza spargimento di sangue, anche perché il sangue di questi schifosi subanimali dovrebbe rimanere dentro i loro schifosi corpi. Per poi bruciarli o buttarli in mare perché se li mangino i pesci.Questi non sanno che sono schifosi.

Mafia, l'odio di Riina: uccidiamo don Ciotti - Repubblica.it

www.repubblica.it/cronaca/2014/08/.../mafia_riina_don_ciotti-94743021...
3 giorni fa - Mafia, Totò Riina: "Ogni sei mesi Berlusconi ci pagava 250 milioni" ... PALERMO - Don Luigi Ciotti, l'instancabile animatore di Libera, come don ..
       
   

2 commenti:

Massimo ha detto...

Il problema con la pena di morte, anche se applicata soltanto per il reato di criminalità organizzata, è che, presto o tardi (specialmente in un paese come l'Italia) verrebbe condannato un innocente. Sarebbe una barbarie imperdonabile. E così è meglio tenere in vita una merda come Riina che trovarsi con un innocente sulla coscienza.

Pietro Melis ha detto...

Non è così. Quando si pesca nell'ambiente della mafia si pesca sempre bene. E poi con la tortura si possono avere confessioni sui complici. Naturalmente non bastano le confessioni perché è necessario fare poi un incrocio per la verifica. E se ha accusato innocenti allora doppia tortura. Questi sono dei subanimali la cui vita deve essere considerata di valore inferiore a quella di un insetto nocivo, che non sa di essere nocivo. Estirparli senza pietà. Contro un nemico in guerra si usano armi da guerra. E la mafia è un nemico da combattere con le armi, con leggi di guerra e non di pace. Ma questo non entra in testa ai rappresentanti di questa merda di cosiddetta democrazia. Spesso collusi con la mafia.