Il disegno di legge sul testamento biologico prevede che chiunque possa rifiutare l'accanimento terapeutico. Il rifiuto dovrebbe sottintendere che il malato terminale sia in stato di coscienza. Non si capisce se tale rifiuto comporti anche il rifiuto dell'alimentazione. Chi sarebbe disposto in questo caso a rifiutare anche l'alimentazione per preferire di morire lentamente di fame e di sete? Dunque non ha senso il rifiuto dell'alimentazione in un soggetto cosciente. Sarebbe una contraddizione. E' impossibile pensare che il malato terminale cosciente preferisca morire di fame e di sete. Dunque si deve supporre che la fine dell'accanimento terapeutico sia applicabile solo per un soggetto non più cosciente. In tal caso ci si pone il problema se anche l'alimentazione faccia parte di un accanimento terapeutico. Tutti sappiamo del caso di Eluana che in stato di incoscienza veniva assistita da delle suore, che la portavano anche fuori nel giardino dell'istituto. Ma vi era veramente uno stato di incoscienza visto che essa aveva sempre gli occhi aperti che sembravano capaci di guardare? Che se ne sapeva veramente del suo stato cerebrale? Essa per volere del padre fu fatta morire lentamente per fame e per sete perché fu sospesa l'alimentazione. In ogni caso la sospensione dell'accanimento terapeutico causerebbe una maggiore sofferenza se accompagnata anche dalla sospensione dell'alimentazione. In tutti e due i casi, sia nello stato di coscienza accompagnato solo dall'alimentazione, sia nello stato di incoscienza con la sospensione dell'alimentazione, si avrebbe una morte lenta con maggiore sofferenza. Il testamento biologico dovrebbe cosentire piena libertà alla decisione di chi 1) preferirebbe, nel caso di stato di malattia terminale in stato di coscienza, non prolungare con l'alimentazione il suo stato di sofferenza, che può essere anche soltanto psichico; 2) oppure, in previsione di una malattia terminale accompagnata da stato di inconscienza, preferirebbe abbreviare la sua vita senza dover morire lentamente di fame e di sete, non potendosi neppure escludere un larvato stato di coscienza. Fatte queste premesse è da sconsiderati in questo caso imporre una morte lenta piuttosto che una morte abbreviata tramite l'eutanasia. Che dunque dovrebbe essere compresa nel testamento biologico. Questo sarebbe almeno un saggio compromesso tra i sostenitori dell'eutanasia anche fuori dei due casi illustrati e coloro che la escludono crudeltemente in tutti e due i casi.
Rimane la domanda se sia giusto considerare reato l'eutanasia assistita voluta da chi, avendo subito un corto circuito nella propria esistenza, tale da rendergliela del tutto insopportabile, preferisca farla finita. In questo caso si debbono considerare le colpe di chi voglia l'eutanasia pur non essendo malato perché si sottrarrebbe ai suoi doveri familiari e sarebbe causa di ingiusti dispiaceri nei riguardi di coloro che hanno con lui un rapporto affettivo. Dal punto di vista morale l'eutanasia assistita in tal caso sarebbe moralmente riprovevole ma non dovrebbe essere giuridicamente condannabile perché ognuno deve poter disporre come vuole della propria vita, cioè del proprio corpo, che non appartiene allo Stato. Altrimenti si arriverebbe alla conclusione assurda che lo Stato dovrebbe punire il suicida. Al contrario, la morte estingue la pena. E' evidente. Lapalissiano.
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