Nel Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passeggere Leopardi giunge alla conclusione che nella vita prevale sempre il male sul bene. E pertanto non vale la pena di sperare in una vita migliore. Io vado più in profondità. Non vale la pena di nascere. Donare la vita è la solita stronzata (non senso linguistico, direbbe Harry G. Frankfurt, Stronzate, Rizzoli 2005). Non si può donare qualcosa se manca il ricevente. Chi sarebbe il ricevente? Uno dei milioni di spermatozoi o un ovulo? Il ricevente non esiste. Dunque la vita non si può donare. E poi perché non aggiungere che si dona la morte? Come fare per sottrarsi alla morte? E' semplice: basta non nascere. Ma putroppo questo non dipende da noi. Si nasce o per sbaglio o per egoismo, per il bisogno di illudersi di avere delle responsabilità nei riguardi di un figlio, in modo da pensare meno a se stessi evitando la domanda che ci stiamo a fare su questa Terra. Siamo frutto della casualità, sin dalla formazione del sistema solare. Ma una volta nati prevale normalmente l'istinto animale dell'autoconservazione. Può però accadere un corto circuito nell'esistenza per una causa esterna o interna (che può essere persino il non senso della vita). Posto dunque che è meglio non nascere per evitare l'esperienza della morte con il ritorno nel nulla, non posso essere d'accordo con Leopardi nel suo dire che non vale la pena di desiderare una vita diversa. Io avrei voluto una vita diversa. Maledetti quei che mi hanno fatto nascere. Ma una volta nato avrebbero almeno avuto il dovere di non contrastare le mie aspirazioni. Ho finito con il fare il docente universitario di storia della filosofia. Dovrei essere contento di avere avuto questa fortuna, non potendo valere nelle Università solo il merito. Bisogna essere anche fortunati nel trovare un professore che riconosca il merito e che ti porti avanti nei concorsi. Io sono stato fortunato anche in questo. E allora di che cosa dovrei lamentarmi? Sono stato pagato per studiare (privilegio di pochi), a parte la scocciatura del fare esami, che non ho mai sopportato. Andavo in Facoltà tre volte la settimana per fare lezione non avendo i docenti universitari orari di ufficio. Facevo le mie tre lezioni settimanali e poi avevo tutto il tempo libero. Perché la Facoltà è l'ultimo posto in cui si possa studiare tranquillamente. Ai Consigli di Facoltà spesso non andavo perché era una tristezza burocratica. E non vi era nemmeno l'obbligo della presenza. Dunque mi dovrei considerare un privilegiato nella vita. Non avrei barattato questa vita per un'altra che mi avesse dato ricchezza (non avendo avuto la vocazione del far soldi). Dunque devo ritenere di avere avuto una vita migliore di quella di chi ha avuto il successo del potere e del danaro. Ma non è così. La filosofia, disse Platone, è una preparazione alla morte. Ebbene, io ho trascorso la vita preparandomi ogni giorno, senza saperlo, alla morte. Avrei dovuto fare un altro mestiere per sottrarmi a questa preparazione che da inconscia è diventata ora conscia. Quale mestiere? A questo punto debbo ripetere: maledetti quei due che mi hanno fatto nascere, anche per un altro motivo. Sin da bambino sentivo di avere un forte vocazione per la musica. Chiesi che mi fosse comprato un pianoforte per studiare composizione al Conservatorio. Volevo fare il compositore e il direttore d'orchestra. La musica mi avrebbe forse sottratto al pensiero della preparazione alla morte che è la filosofia. Niente da fare. Pensarono che fosse il capriccio di un bambino. Mio padre, che pure era un grande appassionato intenditore della grande musica (fu lui, per esempio, a farmi scoprire ed amare Wagner e a non sopportare Verdi) pensava che non avrei avuto un futuro dal punto di vista economico. Meglio gli studi classici e poi l'Università. E quando dissi a 18 anni che mi sarei iscritto alla Facoltà di Lettere e filosofia quasi gli venne un colpo. Ironizzò subito dicendo che mi sarei iscritto alla Facoltà di Lettere e cartoline. Ma non rinunciai alla musica, anche se era troppo tardi. Contemporaneamente mi iscrissi al Conservatorio, dove diedi esami di pianoforte e composizione per quattro anni mentre contemporaneamente davo esami all'Università. Fu un periodo felice. Forse il migliore della mia vita. Consideravo la filosofia un hobby e la musica una preparazione al mio futuro mestiere. Ma al quarto anno mi trovai improvvosamente ad un bivio della vita. Un professore di filosofia, che mi faceva fare lezioni di logica ai miei colleghi studenti mi disse: si metta subito a preparare la tesi (mi impose come argomento la fisica di Cartesio) perché il ministero ha assegnato un posto di assistente da mettere a concorso. Che fare? Che futuro avrei avuto come musicista data la concorrenza spietata anche tra i direttori d'orchestra? Avrei dovuto continuare a studiare musica per molti anni, stando sempre a carico dei genitori. E poi andare a Roma dopo il diploma per seguire corsi di direzione d'orchestra. Un futuro nebuloso. Decisi di prendermi il sicuro. L'unica rivincita, magra, della musica fu l'acquisto di un pianoforte a coda con i primi stipendi. Prima avevo avuto a casa un pianoforte verticale preso in affitto. Continuai a studiare pianoforte da autodidatta facendomi un piccolo repertorio. Ma lo studio della composizione non ebbe prosieguo.
Tornando a Leopardi. Si può avere una vita migliore? Certamente. Leopardi dice che nessuno può desiderare una vita migliore perché l'unica vita che si conosce è quella che si vive, non potendo conoscersi il futuro. Ma non è così. Se è vero ciò che dice Leopardi, che spesso la vita che abbiamo è lasciata al caso, a fattori che non possiamo dominare, ciò non è vero in senso assoluto. Vi sono molti che si sono sentiti pienamente realizzati nella vita facendo la vita che avevano desiderato di fare. Se io potessi tornare indietro vi tornerei volentieri, ma dovrei tornare bambino. E con tutti i rischi di una vita diversa da quella che ho conosciuto.
- LEOPARDI
- Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
- Venditore
- Lo credo cotesto.
- Passeggere
- Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
- Venditore
- Signor no davvero, non tornerei.
- Passeggere
- Oh che vita vorreste voi dunque?
- Venditore
- Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
- Passeggere
- Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
- Venditore
- Appunto.
- Passeggere
- Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
2 commenti:
Una cosa è certa però: i furbetti dei piani alti(la gerarchia angelica) non vengono nella manifestazione densa a farsi il culetto! Mica scemi.
Gentile prof.,
quando avrò capito il senso della mia vita (esiste un senso?) potrò anche decidere di quella dei miei figli (se averne o meno).
Le auguro, visto il suo amore per la musica, di potersi cimentare nuovamente in essa.
Marcus, un suo affezionatissimo lettore.
Posta un commento