Purtroppo il governo Craxi nella revisione dei Patti Lateranensi a metà degli anni '80 incluse l'8 per mille per finanziare la Chiesa cattolica. In alteranativa lo si può dare allo Stato ma anche ad altre organizzazioni religiose. Impossibile darlo agli islamici perché questi fortunatamente non hanno un'organizzazione unitaria con cui farsi rappresentare da questo Stato di merda. Se sul quadratino corrispondente non viene messa crocetta l'8 per mille viene distribuito proporzionalmente a tutte le organizzazioni religiose e allo Stato in base alle preferenze avute, e naturalmente la Chiesa cattolica anche in questo caso si prende la fetta più grossa. Purtroppo non vi è via di scampo: se non scegli ci pensa questo Stato di merda a scegliere per te. Chi non volesse darlo ad alcuno dovrebbe avere il diritto di tenersi in tasca l'8 per mille. Supponiamo che uno dia l'8 per mille allo Stato. Egli lo dà a tutti ma senza avere alcun ritorno da quelli che lo danno alla Chiesa cattolica o ad altre organizzazioni religiose (come la Chiesa valdese). L'art. 7 della Costituzione (che ha assorbito scelleratamente i Patti Lateranensi anche grazie al comunista Togliatti, pur con il voto contrario del partito socialista di Nenni) deve essere ritenuto in contrasto con il primo comma dello stesso art. 7 ("Lo Stato e la Chiesa cattolica, ciascuno nel proprio ordine, sono indipendenti e sovrani"). Dove sta la separazione tra Stato e Chiesa con l'inclusione dei Patti Lateranensi voluti da Mussolini, che tuttavia con gli stessi Patti escluse il mantenimento della Chiesa cattolica con i soldi dei contribuenti? La Chiesa cattolica, come ogni altra organizzazione religiosa, dovrebbe chiedere direttamente ai suoi fedeli di scomodarsi inviando privatamente dei contributi al suo finanziamento. Allora si vedrebbe quanti siano i veri cattolici in Italia.
Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica.
Dal mio libro Scontro tra culture e metacultura scientifica.
Un deficiente di chiara fama che risponde al nome di Gustavo Zagrebelsky, che è presidente emerito della Corte Costituzionale, fu estensore il 20 settembre del 2000 di una sentenza pazzesca.
Il
codice penale italiano considera reato l’offesa alla religione
cattolica. Ma la sentenza dello Zagrebelsky, per
una male intesa par
condicio, ha
considerato incostituzionale l’articolo 404 del codice penale
e, riconoscendo eguale
dignità a tutte le religioni,
ha ritenuto reato l’offesa a qualsiasi religione, rinforzando così
la totale sconsideratezza del legislatore di uno Stato che si
dichiara laico. Né il legislatore né i giudici della Corte hanno
capito la gravità di ciò. Infatti il reato di offesa dovrebbe
comportare l’intromissione dello Stato nei contenuti della
religione per stabilire se essi meritino di pretendere il rispetto da
parte dei non credenti. Diversamente lo Stato dovrebbe ritenere reato
anche l’offesa nei riguardi, se non dei seguaci di una setta
satanica, degli animisti, dei buddisti (per offese a Buddha), degli
induisti (per offesa alla trinità indiana, anche se si trattasse
della seconda persona, Visnù, dio della distruzione o per offesa
alla dea sanguinaria Kalì), etc. Dovrebbe dunque ritenere reato
anche offendere una divinità ritenuta pagana in Occidente. Di fatto
lo Stato, pur non potendo avere alcuna competenza riguardo ai
contenuti e ai culti di una religione, ha indebitamente e gravemente
compromesso la sua laicità riconoscendola soltanto verbalmente, ma
negandola giuridicamente con lo scopo di tutelare i seguaci delle tre
religioni monoteistiche, giudaica, cristiana ed islamica per
convenienza politica, prescindendo dai loro contenuti, in merito ai
quali, d’altra parte, non può entrare se non restaurando un
cesaropapismo o una commistione tra Chiesa e Stato di medievale
memoria, pur contro la citata dottrina di papa Gelasio, che dichiarò
la separazione tra interessi secolari e interessi religiosi.
L’aspetto ancor più grave dello scellerata tutela giuridica delle
credenze religiose è che lo Stato, per la totale incoscienza di
legislatori e di giudici della Corte, ha in tal modo recepito nella
sua legislazione il pericoloso concetto di “sacro”, che non può
far parte di un ordinamento giuridico, se non in uno Stato
teocratico, al quale lo Stato italiano è si avvicinato con la
suddetta norma del codice penale e della sentenza della Corte,
prefigurando il reato di offesa alla religione e salvaguardando la
forza del numero dei credenti invece che il diritto. Come
se fosse il numero a fare il diritto e non la ragione.
La
conseguenza ulteriore è che lo Stato si è assunto il compito di
difendere i dogmi religiosi, trascurando il fatto che in tal modo
esso stesso, dal punto di vista del cittadino non credente, promuove
“l’abuso della credulità popolare” che è anch’esso un reato
ai sensi dell’art. 661 C.P. Non si può negare, infatti, che per il
cittadino non credente - che non può essere discriminato - rientra
nella credulità popolare il credere che le cosiddette sacre
scritture siano ispirate da Dio, e che dunque sia vero che Gesù sia
figlio di Dio, nato da una vergine, concepito con lo Spirito Santo,
sia morto e risorto perché il Padre volle la macellazione del figlio
per cancellare il peccato originale. Come per il non credente rientra
nella credulità popolare il credere che Maometto sia profeta di
Allah, che gli avrebbe dettato il Corano e che, da una piazza di
Gerusalemme, l’avrebbe portato, ancora in vita, in paradiso, anche
con il suo cavallo bianco, perché avesse conoscenza di come era
fatto e lo potesse descrivere nel Corano. Come per il non credente
rientra nella credulità popolare il credere che il dio ebraico abbia
consegnato a Mosè le tavole in pietra dei dieci comandamenti sul
Sinai e non li abbia invece scolpiti lo stesso Mosè, per altro mai esistito secondo la più accreditata esegesi biblica. Se per il non
credente tutti questi racconti non possono che essere imposture sul
piano storico, ebbene, lo
Stato si fa pedagogo pretendendo di difendere le imposture
e di condannare chi ironizza contro di esse accusandolo di oltraggio
alla religione e trascurando il fatto che troppi oltraggi ancora il
non credente è costretto a subire, per esempio nel campo della
bioetica, a causa delle credenze religiose. Per tacere delle
persecuzioni passate e presenti, nonché dei conflitti mai spenti tra
le religioni che lo Stato alimenta riconoscendo ad esse dignità
morale, ignorando che esso stesso si autodistruggerebbe, come scrisse
Hegel (Scritti
teologici giovanili),
se i precetti dei Vangeli fossero applicati alla lettera, perché
sarebbe la morte del diritto e della società civile. Figuriamoci se
venissero applicate tutte le norme della Torah e del Corano, compresa
quella che prescrive la lapidazione degli adulteri. Oggi l’autore
del Corano sarebbe perseguibile secondo il codice penale per
istigazione alla violenza, sino all'omicidio di massa.
Non si può, infatti,
prescindere dal fatto che il Corano, essendo una istigazione alla
violenza, anche come
metodo politico, sia
in contrasto con l’ordinamento giuridico fondato su una
Costituzione liberale. Questi sono i contenuti che i tartufi della
Corte costituzionale hanno difeso equiparando di fatto i Vangeli al
Corano.
Ma
vi è di più. La gravità della sentenza degli zombi della Corte
costituzionale, che hanno ormai perso la testa – e che non hanno
avuto, invece, alcunché da obiettare di fronte all’eccezione della
“macellazione rituale” ebraico-islamica nei mattatoi, perché per
gli animali non varrebbe la par
condicio - si rende
evidente nell’avere equiparato tutte le religioni a causa
dell’ignoranza che questi zombi hanno delle radici
greco-romano-cristiane del diritto in Occidente, e dunque nell’avere
misconosciuto che il cristianesimo è l’unica religione che, al di
là dei suoi dogmi, ha traghettato sino ai giorni nostri quel diritto
naturale che, pur ancora inteso antropocentricamente dal
cristianesimo, è ignorato da tutte le altre religioni, oltre che
dalla filosofia dopo il ‘700, mentre rimane a fondamento della
tradizione giuridica occidentale, che con la sentenza della Corte è
stata calpestata in nome di un non dichiarato relativismo culturale,
ormai di moda, dei valori morali che, sostituendosi alla metacultura
del diritto naturale, non può che perpetuare i conflitti religiosi.
“La politica dovrebbe essere basata sulla conoscenza…Ma purtroppo
la scienza è ampiamente sottovalutata. Credo che un motivo sia il
familiare flagello del relativismo…A peggiorare le cose vi è il
fatto che questo atteggiamento tende a essere considerato liberale e
aperto. La scienza finisce così per essere vista come autoritaria e
trionfalista”. 1
Così lo Stato stesso impone la dittatura del relativismo e alimenta
la scissione tra credenze religiose, tutte di origine antropomorfica,
e conoscenza scientifica promuovendo la schizofrenia come
comportamento normale. Per i tartufoni della Corte costituzionale
dovrebbero valere le considerazioni già citate dei giusnaturalisti
cristiani Pufendorf (XVII sec.) e Montesquieu (XVIII sec.), che,
sulla base del diritto naturale, ritenuto valido indipendentemente
dall’esistenza di Dio, giustificavano anche il diritto alla
bestemmia e all’offesa alla divinità. Pertanto questi tartufoni
non possono rivalersi se non pretendono di essere superiori a
Dio. E il credente non deve sentirsi offeso per offese a Dio,
facendosi suo avvocato, perché Dio, se esiste, saprebbe difendersi
da solo, e credere che abbia bisogno di essere difeso dagli uomini
significa ridicolizzarlo.
E’
evidente che la soluzione può consistere unicamente, da parte dello
Stato, nell’ignorare tutte le religioni, e vietare quei
comportamenti che, in contrasto con le sue leggi, derivino da
pratiche religiose, come aveva insegnato Spinoza (Trattato
teologico-politico,
cap. XIX) distinguendo il culto interno (di cui lo Stato non deve
occuparsi) da quello esterno, che può contrastare con le leggi dello
Stato.
1
Helena Cronin, Comprendere la natura, in I nuovi umanisti (a
cura di John Brockman), 2003, Garzanti 2005, p. 62.
1 commento:
I Buddisti della Soka Gakkai non sono meglio della Chiesa Cattolica. E non sono nemmeno vegetariani. Meglio dare i soldi all'UBI, se proprio non si può evitare.
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