Tra alimentazione e cultura
Antropologia e scelta vegana, ecco perché mangiare carne non è un istinto naturale
Tra alimentazione e cultura.
... 23 Maggio 2018. Antropologia e vegani,
ecco perché mangiare carne non è un istinto
naturale. A; A; A. Margherita è una ...
Margherita è una bambina di quasi sei anni, nata e cresciuta a
Roma. Margherita non ha mai chiesto di essere
portata allo zoo, al parco acquatico, al circo con
animali, e una volta, capitataci per caso, stette tutto
il tempo col muso chiedendo di andare via. Margherita non ha mai
chiesto di possedere un uccellino o un criceto, non ha mai
mangiato animali e quando suo padre provò a farle assaggiare un
merluzzo lo risputò nel piatto disgustata. A tre anni, passando
davanti a una macelleria, Margherita si rivolse
a sua madre esclamando angosciata: «Hai visto? In questo posto è
pieno di pezzi di animali morti!». A tre anni
Margherita non conosceva il significato delle parole prosciutto,
mortadella, salame, salsiccia, lombata, braciola, ossobuco,
bistecca e così via. Nella sua rete di segni le macellerie erano,
e restano, luoghi pieni di «pezzi di animali morti».
Margherita, mia figlia, ha ricevuto
fin dalla nascita un’educazione antispecista,
vale a dire un’educazione improntata al rispetto degli
animali, al loro diritto alla vita e alla libertà,
contro lo sfruttamento e il dominio dell’uomo.
La storia di Margherita ci pone davanti a quesiti che mettono in
discussione una verità socialmente condivisa: mangiare
animali è biologicamente necessario? o meglio, risponde
a un istinto naturale della specie umana? La
risposta è no. Uccidere e mangiare animali non ha nulla di innato
e non è necessario. Ciò che viene chiamato istinto
onnivoro è un insieme di pratiche, credenze e
stereotipi culturali. Quanto esporrò di seguito attinge alle
lezioni tenute all’Università di “Tor Vergata” dall’antropologo
Piero Vereni i cui insegnamenti sono stati applicati al tema del “carnismo”.
La tesi è che sono le scelte culturali a determinare l’ambiente in
cui viviamo e, una volta costruito il nostro ambiente (le
abitudini, i gusti, i comportamenti), saremmo indotti a credere
che quel sistema sia quello naturale.
Il ruolo della cultura - La cultura è un sapere
appreso. Il sapere si apprende in modo formale (per esempio in
un’aula universitaria) e informale. Il sapere informale viene
acquisito in forme subconscie, senza una chiara consapevolezza di
come sia entrato a far parte delle nostre conoscenze. Il sapere
appreso lo sentiamo talmente nostro da non saperlo più scindere
dalla natura. In realtà la quota del comportamento innato per gli
umani è bassissima, specie rispetto agli altri animali, che
appunto possiedono più qualità naturali.
Che cosa è innato nell’uomo? - Il battito
cardiaco, la suzione, lo sbattere le palpebre, il movimento
intestinale. Le scelte alimentari, invece, sono frutto di una
educazione culturale a cui l’uomo è stato esposto. La
caratteristica degli esseri umani è appunto l’apprendimento.
Tuttavia, la cultura vegana, rappresentata da
meno di un italiano su cento, è considerata innaturale e tacciata
di fondamentalismo da parte dell’opinione pubblica.
L’antropologo Francesco Remotti ha elaborato il concetto di
antropopoiesi, indicando con questo termine tutti quei processi di
«costruzione dell’umano». In altre parole l’antropopoiesi è
l’operazione attraverso cui le culture costruiscono i propri
specifici tipi umani. L’uomo subisce un vero e proprio processo di
foggiatura. Tutte le categorie che sfuggono al sistema vengono
considerate scarti. Gli scarti servono al modello
dominante per consacrare la propria superiorità morale.
Il sistema ha dunque bisogno di emarginare e denigrare lo scarto.
Questa modalità costituirebbe uno dei motivi per cui i vegani
sono così invisi all’opinione pubblica.
Ma che cosa accade dentro una cultura alla fine del processo di
«costruzione dell’umano»? Si giudica l’alterità. E lo si fa
negativamente. L’etnocentrismo è appunto la
tendenza a giudicare le altre culture in base ai criteri di quella
di appartenenza, quindi attraverso una visione critica limitata al
proprio punto di vista. L’etnocentrismo è la convinzione che i
propri schemi siano quelli naturali e normali, ma non esiste la
natura umana come schema di comportamento, esistono gli stili
culturali.
La cultura ha prodotto l’antropocentrismo, una
credenza che mette l’uomo al centro dell’universo ritenendolo
misura di tutte le cose e celebrando così la sua supremazia sugli
altri animali. Per esempio, uno dei motivi per cui gli animali
sono considerati inferiori rispetto all’uomo sarebbe il loro più
basso livello di intelligenza. Ma l’uomo valuta l’intelligenza
attraverso la quota di sapere appreso posseduta da un individuo.
In quest’ottica, tutta umana, il cane è più intelligente della
gallina, perché al cane gli puoi insegnare più cose. Nella nostra
cultura l’intelligenza ci fa considerare il cane degno di vivere.
Il maiale potrebbe essere considerato intelligente al pari del
cane, tuttavia il maiale finisce sulle tavole e il cane
no. A cosa è dovuta questa discriminazione? Verosimilmente al
fatto che al cane e al maiale associamo significati diversi. Il
significato implica una serie di narrazioni (con il cane ci vai a
passeggio, lo associ alla fedeltà, alla compagnia, all’amicizia.
Amicizia è affetto. Affetto a sua volta ha un proprio
significato). Insomma, intorno al cane costruiamo una rete di
segni, così come facciamo per il maiale attraverso una costruzione
diversa. Ogni cultura ha una specifica rete di segni. Il cane è
sempre lo stesso animale a Roma e a Seul, ma a Seul è visto in
maniera differente e per un coreano la cotoletta di cane
corrisponde a qualcosa di normale e naturale. Non c’è l’animale e
basta: c’è il segno culturale di quell’animale. In altre parole,
non esiste una ragione innata o oggettiva per cui il maiale o il
cane debbano essere considerati cibo, ma una motivazione
intersoggettiva che appartiene alla cultura condivisa.
Che cosa dicono la filosofia, la linguistica e la
sociologia moderna - Max Weber, uno dei fondatori della
sociologia moderna, ha affermato che l’uomo è un animale
intrappolato nei reticoli dei segni che egli stesso si è costruito
come una specie di mosca intrappolata nella ragnatela. La cultura
è una rete di segni. Per Ferdinand de Saussure il segno è l’unione
arbitraria di un significante e di un significato. Non c’è alcuna
connessione naturale tra il segno e la cosa che definisce. La
connessione si impara. Nella teoria dell’uso del significato,
Wittgnestein ci insegna che il significato di un segno è dato
dalla potenzialità dei modi con cui posso utilizzare quei segni:
il significato è sempre frutto di un’immagine mentale. Per
esempio, nel nostro modo di pensare, il consumo di carne è
associato alla caccia e alla virilità, mentre quello del pesce a
uno status sociale elevato. In relazione all’uso del significato,
la politica può essere considerata una lotta per i segni, ovvero
una lotta per imporre certi significati rispetto ad altri. Quello
che diamo per scontato è sempre il prodotto di una storia sociale,
politica ed economica. Un dato importante, da considerare nella
valutazione dei segni, è che la mercificazione degli animali è
incastrata in meccanismi economici, così come tutte le attività
inerenti il loro sfruttamento.
Come uscire dalla trappola della ragnatela - Gli esseri umani possono ragionare sui propri comportamenti e cambiare, provocando dei mutamenti nella propria esistenza. La riflessività consente di mettersi in discussione. Ma la consapevolezza spesso produce disagio, e così, per dirla con Lacan, il principio umano che guida gli esseri umani molto spesso si traduce nel «non voglio sapere».
Tornando alla storia di Margherita, notiamo in questa società una
difficoltà condivisa a ritenere moralmente accettabile
l’applicazione dei principi vegani in particolar
modo allo stile di vita dei bambini. Nello specifico, contro
l’alimentazione vegana in età pediatrica hanno battagliato i mezzi
di comunicazione di massa, strumenti con cui il sistema controlla
e colonizza i propri cittadini. Ma le battaglie vere, abbiamo
imparato, sono quelle in cui si ha consapevolezza della scelta dei
significati.
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