Ingiustamente pochi ne conoscono l'esistenza. E tuttavia Così non sia. Introduzione al dubbio di fede è un caposaldo perenne dell'analisi dei Vangeli con cui si evidenziano tutte le contraddizioni tra un Vangelo e l'altro, per esempio in merito alla data dell'ultima cena, che in Giovanni viene predatata a venerdì per giustificare l'osservanza del sabato ebraico. Riporto alcune frasi riportate nel mio testo Scontro tra culture e metacultura scientifica.
il Natale e la Pasqua – coincidono con una strage di agnelli, che rafforza l’immagine del Cristo agnello sacrificale, che ha fatto dire alla teologa Uta Ranke-Heinemann che la teologia cristiana è una “teologia da macellai”.1
1 Così non sia. Introduzione al dubbio di fede, Rizzoli 1993, p. 128.
Ha commentato la teologa Ranke-Heinemann1 che l’idea che Gesù sia l’agnello pasquale immacolato…costituisce in ogni caso una teologia da macellai”. La stessa studiosa ha spiegato come l’ultima cena sia stata in effetti a base di carne di agnello e che Gesù abbia ordinato ad un apostolo di prendere un agnello, di portarlo al tempio per scannarlo prima di riportarlo intero, secondo la ritualità ebraica.2
1 Utha Ranke-Heinemann, Così non sia. Introduzione al dubbio di fede, Rizzoli 1993, p. 128. Sull’ultima cena, che fu una cena pasquale cfr. p. 125.
2 Su questo punto cfr. anche Riccardo Calimani, Gesù ebreo, Rusconi 1990, pp. 415-16.
E’ stato scritto che “se Abramo vivesse oggi e manifestasse l’intento di sacrificare suo figlio sul rogo – in obbedienza al comando di Dio - lo si dovrebbe rinchiudere in un manicomio”.1
1 Uta Ranke-Heinemann, op. cit. p. 298.
Gesù scaccia i mercanti che sostavano sotto il colonnato del tempio dicendo che ne avevano fatto “una spelonca di ladri”, ma non ha alcunché da dire sul fatto che il tempio fosse in realtà un mattatoio. E si sa che l’ultima cena fu in effetti una cena pasquale nel senso ebraico, con sacrificio dell’agnello (Uta Ranke-Heinemann, Cosi non sia. Introduzione al dubbio di fede, 1992), Rizzoli 1993, p. 125). L’autrice, che precedentemente era stata abilitata dalla Chiesa cattolica ad insegnare teologia nelle Università, scrive che “l’idea che Gesù sia l’agnello pasquale immacolato...costituisce in ogni caso una teologia da macellai” (p.128). Con una messa da parte di tutte le storie miracolistiche dei vangeli l’autrice ha proceduto ad una umanizzazione di Gesù con una puntigliosa e documentata opera di storicizzazione della sua figura. Riccardo Calimani (Gesù ebreo, Rusconi 1990) ha ampiamente documentato che non furono gli ebrei a volere la morte di Gesù e che egli subì la condanna soltanto perché accusato di insurrezione contro il governo di Roma, come dimostrano anche i tempi e le modalità del processo, che fu una violazione di tutta la severa ritualità ebraica, che non poteva ammettere il processo nel giorno in cui si svolse, coincidendo, secondo i tre vangeli sinottici, con la pasqua ebraica, mentre il tardo vangelo di Giovanni, per rimediare a ciò, sposta il processo alla vigilia. Inoltre è impossibile che gli ebrei in piazza si automaledicessero chiedendo che il sangue di Gesù ricadesse si di essi e sulle generazioni future, dovendosi piuttosto intendere queste parole come attribuite dai cristiani agli ebrei. Gli evangelisti sono caduti ingenuamente in fallo anche nel famoso gesto di Pilato, che si lava le mani in pubblico, secondo una ritualità che apparteneva, invece, alla tradizione ebraica. Il governatore romano della Palestina non avrebbe mai messo sulla croce, come prescritto dalla legge romana, il motivo della condanna se questo non fosse risultato vero (I.N.R.I.: Iesus Nazarenus Rex Iudeorum).
Caro Melis
la Ranke-Heinemann era simpatica e sicuramente non più cattolica (non fu scomunicata perché la scomunica non si usa più, anzi è controproducente - però il vescovo Lefebvre mi sembra che venisse scomunicato per la sua disobbedienza) Ranke-Heinemann sosteneva di "credere"in Dio, anzi non vi credeva: per lei Dio era una presenza indubitabile, quanto dire un'evidenza. Io questa evidenza non la vedo...Comunque la Heinemann voleva rivedere suo marito, morto prima di lei. Ho avuto l'impressione che rivedere suo marito fosse per lei più importante della visione di Dio...Ciò mi ricorda il cardinale Biffi che credeva nell'aldilà perché voleva rivedere sua madre...Due persone, Biffi e la Heinemann, sicuramente intelligenti. Trovo simpatico e umano che volessero rivedere persone a loro care che sembrano però contare più di Dio stesso...
Cordiali saluti
Sergio Pastore
Caro Sergio
mi ricordo che Paolo VI disse ad una bambina che piangeva per la morte del suo cane che l'avrebbe rivista nell'aldilà. Ecco, io vorrei rivedere i cani e i gatti che mi hanno tutti rattristato l'esistenza ogni volta che la morte mi separava da essi. Dei genitori me ne frego per avermi condannato a morte facendomi nascere senza che io l'avessi chiesto. Sa quale è la malattia incurabile? E' la vita: ha il 100% di decessi. Meglio non nascere per non essere condannati a morte. Si nasce per sbaglio o per egoismo dei genitori che vogliono una discendenza. E così continua la staffetta della morte. Solo per gli animali non umani la vita ha un senso perché non possono porsi la domanda "che senso ha la vita?". Heidegger distinse tra perire e morire. Gli animali non umani periscono perché la loro vita è un per-ire, cioè un andare per, senza alcuna progettualità dell'esistenza. Gli uomini muoiono (da morior) perché la loro progettualità è un pro-gettare, un gettare di fronte a sé (pro) l'esistenza, che ha come progetto finale la morte. E nel morior è compreso l'orior (il sorgere). Gli uomini autentici vivono pro-gettando la morte, quelli inautentici non la pro-gettano perché vivono nella banalità dei luoghi comuni del "si fa" e del "si dice". Così è un luogo comune il non senso linguistico del dire che "la vita è un bene". Se fosse un bene dovrebbe poter essere donata. Ma la vita non può essere donata perché manca il ricevente. Tranne che assurdamente venga donata ad uno dei milioni di spermatozoi compresi in una eiaculazione, cioè a quello che per primo arriva all'ovulo. Se ne fosse arrivato un altro sarebbe nato un altro individuo. Come si vede, la vita è una lotteria. Nasciamo tutti dal caso, per non dire dal... cazzo. Un aldilà fatto di sole anime umane mi farebbe moralmente schifo. Ma se sopravvivessero anche le anime degli animali non umani, a cominciare da tutti gli animali schiavizzati dagli uomini e uccisi nei mattatoi per arrivare cadaveri nelle mense, dovrebbero sopravvivere anche quelle degli insetti, comprese le pulci, le zanzare, le schifose zecche, etc., etc. E tuttavia vi è un passo (poco conosciuto e mai citato) dell'Epistola ai Romani (8,21) di S. Paolo in cui si dice che "tutte le creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione umana per ottenere la libertà propria dei figli di Dio. Esse, contaminate dall'insulsaggine peccatrice dell'uomo, saranno restituite alla loro essenzialià, ripagate di tutte le sofferenze causate dallo stato di sottomissione forzata, così da estendere la salvezza al mondo infraumano". Frase che ha fatto pensare che S. Paolo credesse nell'immortalità delle anime non umane. Ma mi spaventa anche il pensiero di una sopravvivenza, se pure di eterna beatitudine, fatta di eterna inedia, di eterna noia, priva di progettualità. Mi soccorre una frase di Ludwig Buchner (Forza e materia): E'più spaventoso il pensiero che dopo la morte vi è il nulla o non è più spaventoso il pensiero che, divenendo immortali, non possiamo più morire?
Il filosofo
norvegese Peter Wessel Zapffe (Sul tragico, 1941) capì ciò come nessun
altro. Scrisse che per coerenza non volle figli. Zapffe sostiene che gli uomini
nati con sovrasviluppata capacità di comprensione e di autocoscienza non si
sposano con il disegno della natura. L'umano affaccendarsi per una
giustificazione su questioni come la vita e la morte non possono trovare una
risposta soddisfacente, perciò l'umanità ha un bisogno che la natura non può
soddisfare. La tragedia, seguendo il ragionamento, è che l'uomo impiega tutto
il tempo cercando di non essere umano. Quindi l'essere umano è esso stesso un
paradosso. Esso rimuove il pensiero della morte 1) cercando di non pensarci; 2)
ancorandosi per fede a delle personali certezze; 3) distraendosi (nel senso del
“divertissement” di Pascal); 4) sublimando la vita nell'arte.
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