Scrivo una premessa sotto la tremenda impressione del TG3 Sardegna che ha
fatto vedere crudelmente immagini del mercato di S.Benedetto di Cagliari con
teste scuoiate di agnello vantando che fosse stata esaurita la vendita di
cadaveri di agnelli per la grande richiesta dei soliti sardi bastardi
rispettosi della tradizione della pasqua di sangue di poveri animali innocenti
sottratti alle loro madri dopo pochi giorni di vita. E' stato aggiunto che
alcuni si sono rivolti direttamente ai pastori. Dunque vi è da pensare che
essi, privi di sensibilità, siano stati anche capaci di assistere all'uccisione
di un cucciolo di agnello.
Riporto sotto alcune pagine del mio libro Roba da sardi. Ve la do io la Sardegna. Un libro in cui ho riassunto, ma citandone alcune pagine, la Storia di Sardegna e la Storia moderna della Sardegna dal 1773 al 1799 di Giuseppe Manno, politico e storico sardo (nato adAlghero) che, abbandonando per sempre la Sardegna, divenne a Torino presidente del Senato del regno sardo-piemontese. Da questa lettura si trae la vera immagine dei sardi. Storia barbarica di faide tra gli stessi sardi, popolo vissuto per secoli nella subcultura pastorale.
In tal caso denuncio la grave violazione della legge che
proibisce la macellazione privata giacché l'animale deve essere prima privato
della coscienza perché non soffra maggiormente.
TGR Edizione delle 14:00 del 20/04/2019 - TGR Sardegna - Rai News
Maledetti siano tutti i sardi bastardi che sono
ancora contagiati dalla trementa tradizione ebraica dell'agnello sacrificale
raccolta poi dal cristianesimo. Odio tutti i papi che non hanno mai condannato
questa maledetta tradizione, nonostante Benedetto XVI, seguendo il S. Paolo
della Epistola ai Romani (3,25),
avesse detto all'udienza generale del 7 gennaio 2009: "Questo rito -
quello ebraico del sacrificio degli animali - era espressione del desiderio che
si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell’abisso della
misericordia divina e così farle scomparire. Ma col sangue di animali non si
realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana
ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo,
Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in se tutta la nostra colpa.
Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel
suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall’umanità, e si
rinnova la vita. Rivelando questo cambiamento, san Paolo ci dice: Con la croce
di Cristo – l’atto supremo dell’amore divino divenuto amore umano – il vecchio
culto con i sacrifici degli animali nel tempio di Gerusalemme è finito. Questo
culto simbolico, culto di desiderio, è adesso sostituito dal culto reale:
l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte
sulla croce".
TGR Edizione delle 14:00 del 20/04/2019 - TGR Sardegna - Rai News
https://www.rainews.it/tgr/sardegna/ 6 ore fa
Riporto sotto alcune pagine del mio libro Roba da sardi. Ve la do io la Sardegna. Un libro in cui ho riassunto, ma citandone alcune pagine, la Storia di Sardegna e la Storia moderna della Sardegna dal 1773 al 1799 di Giuseppe Manno, politico e storico sardo (nato adAlghero) che, abbandonando per sempre la Sardegna, divenne a Torino presidente del Senato del regno sardo-piemontese. Da questa lettura si trae la vera immagine dei sardi. Storia barbarica di faide tra gli stessi sardi, popolo vissuto per secoli nella subcultura pastorale.
Pietro Melis, Roba da sardi
– Ve la do io la Sardegna, Cicorivolta Edizioni, 2016. Pietro Melis, ex
professore di Storia della filosofia all'università di Cagliari, ...
Guardatevi alle spalle per capire che razza di gentaglia negli ultimi 50 anni ha “governato” la Sardegna. Un rapporto ottimale
tra un territorio di circa
24.000 chilometri quadrati
e una popolazione di 1 milione
e seicentomila abitanti ma con una popolazione di più di 4 milioni di
pecore e più di un milione di capre. Quasi 4 ovini per ogni abitante. Popolazione di mungitori di ovini e di danaro pubblico non sardo, ma con un apparato burocratico elefantiaco che serviva
soltanto ai politici, parassiti e volgari, privi di competenze, per estendere la rete
delle loro protezioni chiedendo finanziamenti allo Stato italiano
e all’Europa per elargire elemosine agli altri ed autoriprodursi in un circolo vizioso infernale
che doveva mantenere
una farsa di consiglio
regionale in cui si riproducevano le faide tribali tramite i partiti. Masnade
di partiti in cui si rifugiavano molti individui senza mestiere, datisi alla politica
per attribuirsi lauti
stipendi di venti
milioni di lire netti al mese.
Avevo sempre sognato un programma politico che avesse escluso
per sempre dalla Sardegna gli allevamenti di morte e dunque anche la
pastorizia, che, parafrando il Manno, è stata sempre la maledizione del cielo
sardo. A causa della pastorizia avevo
sempre odiato il Natale e la Pasqua, trasformate ogni anno in una strage di
agnelli, gli animali più mansueti della Terra. Ogni volta che si avvicinavano
queste feste di sangue aumentavano la mia sofferenza e il mio odio contro una
barbara e crudele tradizione che ha contagiato anche gli atei. Avevo
inviato una lettera al papa Francesco chiedendo che rompesse il silenzio contro
la crudele tradizione dell'agnello pasquale, ucciso per rispettare una antica
tradizione ebraica e non cristiana. Gli avevo scritto che dopo il sacrificio
della croce non era più necessario immolare animali come si faceva nel
tempio-mattatoio ebraico. Avevo aggiunto che un altro S. Francesco, quello da
Paola, migliore di quello carnivoro di Assisi, era stato vegano ed era vissuto
ben 91 anni, mentre quello di Assisi era vissuto solo 44 anni.
Lo stesso Benedetto XVI, seguendo il S. Paolo della Epistola ai Romani (3,25), aveva detto
all'udienza generale del 7 gen-naio 2009 che "Questo rito - quello ebraico
del sacrificio degli animali - era espressione del desiderio che si potessero
real-mente mettere tutte le nostre colpe nell’abisso della misericor-dia divina
e così farle scomparire. Ma col sangue di animali non si realizza questo
processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana ed amore
divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo, Figlio
vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in se tutta la nostra colpa. Egli
stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel suo
cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall’umanità, e si rinnova la
vita. Rivelando questo cambiamento, san Paolo ci dice: Con la croce di Cristo –
l’atto supremo dell’amore divino divenuto amore umano – il vecchio culto con
i sacrifici degli animali nel tempio di Gerusalemme è finito. Questo culto simbolico, culto di desiderio, è
adesso sostituito dal culto reale: l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato
alla sua completezza nella morte sulla croce.
Ma nemmeno Benedetto XVI era stato capace di gridarlo ai cristiani affacciandosi alla finestra dante sulla piazza S. Pietro perché cessasse l’identificazione del Natale e della Pasqua con una strage di agnelli o capretti. E per risposta avevo ricevuto dal papa Francesco solo una ipocrita cartolina artistica che rinnovava il silenzio sulle cristiane stragi di agnelli. E pertanto ero stato costretto ad odiare anche i papi insieme con i pastori. Quando ero bambino capitò in casa, non mi ricordavo come, un capretto, che era stato regalato a mio padre. Non mi ricordavo per quale motivo mio padre avesse accettato in regalo un capretto vivo. Mi affezionai ad esso come se fosse un cane. Lo portavo a passeggio tenendolo al guinzaglio per fargli brucare l'erba nella periferia di Cagliari, che allora era un vasto campo erboso su cui sarebbero poi sorti i palazzi della piazza Michelangelo e della piazza Giovanni XXIII. Mi divertivo a giocare con lui in casa alzando una gamba per mostrargli la pianta della scarpa mentre gli dicevo in sardo: attumba caprittu (urta capretto). E lui prendeva la rincorsa per dare una tenera incornata alla suola della scarpa. Avevo capito che un capretto (o un agnello) non era meno capace di affettività rispetto ad un cane. E allora perché gli uomini si mangiano gli agnelli e non si mangiano i cani? mi domandavo. Anche ciò mi aveva indotto a divenire vegetariano, oltre al fatto di essere rimasto profondamente scioccato, sconvolto, vedendo all'età di 10 anni dei buoi correre impazziti per la via Sonnino dopo essere fuggiti dal mattatoio, che allora si trovava in una strada centrale della città. Piansi amaramente quando fui costretto a separarmi da lui per volere di mio padre, che disse che non si poteva ulteriormente convivere al terzo piano di un palazzo con un capretto. Ma fui ingenuamente rassicurato che il capretto non avrebbe fatto la triste fine che attende tutti i suoi simili e che il pastore, pagato per questo, l'avrebbe risparmiato tenendolo in vita per la riproduzione. Ma certamente il capretto, prima o dopo, avrebbe fatto la stessa fine. Anche per questo avevo coltivato sempre un odio per i pastori, per una terra, che, tra tutte le regioni italiane, pur avendo una popolazione di soli un milione e seicentomila abitanti, aveva tratto dalla pastorizia la maggiore risorsa economica e il maggiore profitto esportando cadaveri di agnelli, sottratti alle madri piangenti che cercano i loro figli. Pastori tanto crudeli quanto imbecilli per essere rimasti miserabili conservando la tradizione della produzione del latte ai fini del formaggio pecorino, anche se tratto da pecore malate del morbo della lingua blu o comunque trasmettenti nel latte l’antibiotico del vaccino per pecore, non avendo mai pensato di poter trarre maggior vantaggio economico sostituendo la pecora e la capra sarde, che danno una lana priva di valore, usata per tappeti o per isolanti termici, con altre razze di pecore e di capre dalla lana pregiata, come il cachemire e il merino, in modo da risparmiare i maschi, sapendo che il cachemire del maschio è ancora più pregiato. Una Sardegna che è stata sempre una terra di povertà espressa dal 45% di tutti gli ovini d’Italia pur con una popolazione di un milione e seicentomila abitanti. PASTORI SARDI BASTARDI. Una terra di miserabili che all'EXPO non aveva avuto vergogna di farsi rappresentare soprattutto dal maialetto arrosto. Un EXPO baraccone diseducativo e rovinoso per la salute come fiera di tutte le peggiori tradizioni alimentari.
Ma nemmeno Benedetto XVI era stato capace di gridarlo ai cristiani affacciandosi alla finestra dante sulla piazza S. Pietro perché cessasse l’identificazione del Natale e della Pasqua con una strage di agnelli o capretti. E per risposta avevo ricevuto dal papa Francesco solo una ipocrita cartolina artistica che rinnovava il silenzio sulle cristiane stragi di agnelli. E pertanto ero stato costretto ad odiare anche i papi insieme con i pastori. Quando ero bambino capitò in casa, non mi ricordavo come, un capretto, che era stato regalato a mio padre. Non mi ricordavo per quale motivo mio padre avesse accettato in regalo un capretto vivo. Mi affezionai ad esso come se fosse un cane. Lo portavo a passeggio tenendolo al guinzaglio per fargli brucare l'erba nella periferia di Cagliari, che allora era un vasto campo erboso su cui sarebbero poi sorti i palazzi della piazza Michelangelo e della piazza Giovanni XXIII. Mi divertivo a giocare con lui in casa alzando una gamba per mostrargli la pianta della scarpa mentre gli dicevo in sardo: attumba caprittu (urta capretto). E lui prendeva la rincorsa per dare una tenera incornata alla suola della scarpa. Avevo capito che un capretto (o un agnello) non era meno capace di affettività rispetto ad un cane. E allora perché gli uomini si mangiano gli agnelli e non si mangiano i cani? mi domandavo. Anche ciò mi aveva indotto a divenire vegetariano, oltre al fatto di essere rimasto profondamente scioccato, sconvolto, vedendo all'età di 10 anni dei buoi correre impazziti per la via Sonnino dopo essere fuggiti dal mattatoio, che allora si trovava in una strada centrale della città. Piansi amaramente quando fui costretto a separarmi da lui per volere di mio padre, che disse che non si poteva ulteriormente convivere al terzo piano di un palazzo con un capretto. Ma fui ingenuamente rassicurato che il capretto non avrebbe fatto la triste fine che attende tutti i suoi simili e che il pastore, pagato per questo, l'avrebbe risparmiato tenendolo in vita per la riproduzione. Ma certamente il capretto, prima o dopo, avrebbe fatto la stessa fine. Anche per questo avevo coltivato sempre un odio per i pastori, per una terra, che, tra tutte le regioni italiane, pur avendo una popolazione di soli un milione e seicentomila abitanti, aveva tratto dalla pastorizia la maggiore risorsa economica e il maggiore profitto esportando cadaveri di agnelli, sottratti alle madri piangenti che cercano i loro figli. Pastori tanto crudeli quanto imbecilli per essere rimasti miserabili conservando la tradizione della produzione del latte ai fini del formaggio pecorino, anche se tratto da pecore malate del morbo della lingua blu o comunque trasmettenti nel latte l’antibiotico del vaccino per pecore, non avendo mai pensato di poter trarre maggior vantaggio economico sostituendo la pecora e la capra sarde, che danno una lana priva di valore, usata per tappeti o per isolanti termici, con altre razze di pecore e di capre dalla lana pregiata, come il cachemire e il merino, in modo da risparmiare i maschi, sapendo che il cachemire del maschio è ancora più pregiato. Una Sardegna che è stata sempre una terra di povertà espressa dal 45% di tutti gli ovini d’Italia pur con una popolazione di un milione e seicentomila abitanti. PASTORI SARDI BASTARDI. Una terra di miserabili che all'EXPO non aveva avuto vergogna di farsi rappresentare soprattutto dal maialetto arrosto. Un EXPO baraccone diseducativo e rovinoso per la salute come fiera di tutte le peggiori tradizioni alimentari.
Ricordo
tristemente di quando mio padre, avendo acquistato
negli anni cinquanta
tre appezzamenti diversi di terra per circa
sette ettari in una località
tra Senorbì e Suelli chiamata
Sarais, distante poco più di 50 Km da Cagliari e confinante
su lati opposti con due paesetti orridi e ancor più squallidi,
S. Basilio e Arixi, provvide prima a far costruire
dei muri di pietra di recinzione
lungo tutto il confine dell’oliveto e a fare impiantare degli alti
eucalipti come frangivento della vigna e del frutteto,
pagando di tasca sua la mano d’opera. Successivamente provvide a fare impiantare un altro frutteto. Ai piedi della vigna scorreva un rio che all’inizio di giugno diventava secco. Per cui provvide a far costruire un grande pozzo che con una pompa a benzina portava l’acqua in una grossa vasca di cemento che serviva ad irrigare i frutteti e la vigna. Aveva poi fatto impiantare
una nuova vigna nel
terzo appezzamento. Egli curava personalmente gli innesti per
migliorare la qualità
della frutta, essendo diventato esperto in
essi, pur non avendo mai prima avuto esperienza
in agricoltura, essendo un colonnello in pensione e ingegnere
civile. Aveva scoperto in età ormai avanzata una passione per la campagna, a cui si era dedicato
senza fini di lucro. Ma questa sua passione gli procurò solo amarezze. I pastori,
per fare entrare le pecore nell’oliveto, avevano fatto varie brecce nel muro, invadevano la vigna e mettevano fuoco nel frutteto incendiando anche i bellissimi
eucalipti. Mio padre resistette per qualche anno pagando anch’egli i barracelli perché impedissero l’azione distruttiva dei pastori. Ma questi erano d’accordo con i pastori
o erano incuranti,
nella piana omertà, dei compiti per cui erano pagati dai proprietari. Alla fine
dovette arrendersi
e vendere la terra per quattro soldi, magari a
quegli stessi che l’avevano sempre danneggiato e che mai furono scoperti.
Blog del prof. Pietro Melis: DIMENTICARE I SARDI: POPOLO DI ...
5 ott 2012 - DIMENTICARE I SARDI: POPOLO DI ANTICA BARBARIE. Non è la .... Pietro Melis ha detto. .... roba-da-sardi-ve-la-do-io-la-sardegna.html
Nessun commento:
Posta un commento