Ritengo che sia stato il più grande scrittore di tutti i tempi. L'ho citato in un mio libro intitolato E giustizia infine fu fatta. Sette giudici uccisi in sette giorni. Ho tratto il nome Petix, protagonista del mio romanzo giallo e filosofico, dalla novella di Pirandello La distruzione dell'uomo. E' la fine che dovrebbero fare molti giudici, resi sempre incolpevoli dalla legge delle loro gravi colpe nei confronti degli innocenti.
Ma chi è stato l'autore della strage? Questo, come in ogni racconto thriller, non può essere anticipato.
Ed anche per questa grave carenza il cristianesimo, sin dalle sue origini, rimane per me privo di qualsiasi credibilità, oltre che scientifica, anche morale. Nei Vangeli non vi è un solo passo a difesa della vita degli animali non umani. D'altronde, almeno sotto questo aspetto, Gesù rimase un ebreo. Nessun senso della vita ho potuto trarre dal cristianesimo, nonostante la sua pretesa di assegnarne uno solo agli uomini. E nessun senso della vita si può trarre dalla conoscenza scientifica. Anzi, essa congiura contro di esso. Bisogna percorrere altre vie, diverse da quelle delle religioni cosiddette rivelate.
E quali vie lei crede che esistano oltre la fede religiosa? Lei non crede nemmeno nei miracoli, disse il cappellano.
E infatti è così, disse il professor Petix. Ma mi sono lasciato una porta socchiusa verso l'aldilà. Ho letto racconti di fenomeni paranormali. A causa della mia educazione scientifica sono costretto a credere solo in ciò che obiettivamente appare e che non si possa negare nella sua obiettività pur non potendo essere spiegato sulla base di leggi fisiche. Non nego a priori che esista qualcosa che la scienza non possa spiegare. So, per esempio, di noti psichiatri che con l'uso dell'ipnosi riescono a far regredire nel tempo un soggetto sino a fargli ricordare e descrivere fatti ed episodi, poi verificati, che sarebbero stati vissuti in vite precedenti. Ed in tale stato il soggetto è capace di parlare lingue a lui sconosciute in stato di veglia. Da cui si trarrebbe la prova della reincarnazione. Allora avevano ragione Pitagora e Platone? Non lo so. Ma da tutti questi racconti, come da racconti di voci di defunti registrate su nastri, si trae l'impressione che vi sia un aldilà senza Dio, senza un supremo giudice creatore dell'universo. Tranne che qualcuno chiami Dio un'energia a noi sconosciuta che sarebbe il serbatoio di vite oltre la morte del corpo. Come vede, se tutto ciò avesse una parvenza di verità, anche per questo il cristianesimo sarebbe una grossa falsità in quanto esclude la reincarnazione e prevede la fine del mondo. Debbo confessare che questi racconti mi hanno sempre affascinato. Sin da bambino immaginavo di vivere in un vecchio castello tenebroso frequentato da fantasmi.
Mi sembra che lei, senza volerlo ammettere, cammini su due diversi binari, disse il cappellano. Lei pone la fede in contrasto con la scienza e poi non esclude che esista qualcosa che la scienza non possa spiegare.
Non è così, disse il professor Petix. Non non vuole o non può intendermi perché a causa del suo cristianesimo non riesce a capire un possibile aldilà diverso da quello a cui lei è costretto a credere. Io non ho mai creduto in un aldilà per fede religiosa. E' impossibile. Ma non escludo che certi fenomeni, come raccontati da sperimentatori seri, non da ciarlatani, possano essere la porta, che io chiamo socchiusa, verso un mondo che le leggi fisiche non possono spiegare. E in ciò non trovo alcun contrasto con la scienza, se determinati fenomeni, pur inspiegabili scientifica-mente, appaiono nella loro fisicità. Perché è la fisicità, controllabile empiricamente, ciò che conta. I miracoli, invece, non sono verificabili fisicamente, come le apparizioni di madonne, di santi, che sarebbero ristrette solo a pochi, che fanno nascere il sospetto fondato che siano degli allucinati in stato di misticismo.
E certe guarigioni che la scienza medica non può spiegare a lei dicono nulla? osservò il cappellano.
Non mi parli di miracoli in fatto di guarigioni. La medicina non è una scienza esatta. Crederei in un miracolo se finalmente uno resuscitasse dopo morte accertata, magari bussando da dentro la bara mentre in chiesa gli stanno facendo il funerale. E perché tutti gli asseriti miracoli avvengono sempre in regioni cattoliche? Come mai i cristiani protestanti non beneficiano mai di miracoli?
Perché non vi credono e non ne chiedono, disse il cappellano.
Ma si rende conto di ciò che ha detto? Replico stizzosamente il professor Petix? Il suo Dio è così antropomorfico da fare ridere. Un Dio che ha bisogno di essere pregato. Ma la smetta per favore. Io credo che nella mia vita più di ogni altro soggetto avrei meritato di assistere ad un miracolo. Anche senza trarne per me alcun beneficio. Ma almeno come testimonianza di un aldilà. Sono vissuto sempre nei dubbi, nella mancanza di certezze, negli scoramenti, e perciò nel sentimento oscuro di una mancanza di senso della vita non avendo mai avuto prove dirette che essa avesse un senso oltre la morte.
Ma un senso, se pur contingente, alla mia vita sono riuscito infine a darlo facendomi precedere nella morte da sette nemici della giustizia. La settimana più bella della mia vita.
Il cappellano rimase scosso nella sua delusione. Aveva capito che nel professor Petix non vi era alcun pentimento e che, anzi, gioiva per la strage che aveva organizzato, che egli considerava come attuazione di una giustizia terrena. Eppure tentò di fargli capire che agli errori umani non si doveva porre rimedio con la violenza e che il professor Petix aveva organizzato quella strage preso da un delirio di onnipotenza.
Se lei credesse in Dio, gli disse il cappellano, si sarebbe astenuto dal voler fare ciò che ha fatto. Lei ha mai letto I fratelli Karamazov di Dostoeskij?
Sì, rispose Petix. E con ciò che vuol dire?
Si ricordi quella frase in cui si dice che, se Dio non esiste, tutto è permesso e non ha più senso nemmeno la pratica del bene. L'uomo può diventare anche assassino senza avere alcun rimorso di coscienza. E lei ne è una dimostrazione. Non ha alcun rimorso di ciò che ha fatto. Ecco le conseguenze avutesi dopo Nietzsche, che lei ha citato, e che disse: Dio è morto. Lei è allievo di Nietzsche.
Il professor Petix ebbe una reazione violenta, prima nell'espressione del volto e poi nel tono di voce. Dostoevskij, disse, era un cristiano a modo suo perché condannava le istituzione storiche della Chiesa, specialmente quella cattolica, che aveva ritenuto di dover privare l'uomo della sua libertà di coscienza e di doverlo assoggettare ad un potere ecclesiastico perché convinta che solo sentendo un potere coercitivo esterno l'uomo avrebbe potuto frenare la sua natura peggiore. Ma ciò contrastava con il vero pensiero cristiano dei Vangeli, dove ad ognuno viene assegnata una responsabilità di coscienza personale nel rispetto della sua libertà individuale. E comunque Dostoeskij, nonostante avesse letto Kant nella sua prigionia, aveva capito un bel nulla. Non aveva capito che se Dio esiste, ogni azione morale del credente non ha alcun merito di fronte a Dio. La sua morale, direbbe Kant, è eteronoma, non autonoma, perché dettata da motivazioni esterne, da opportunismo, dal volersi salvare l'anima. La conseguenza sarebbe che nessun uomo che non fosse credente sarebbe capace di un'azione giusta, non dico morale, giacché bisogna distinguere la morale, che vuole la pratica del bene, un oggetto rimasto sempre misterioso nell'impossibilità di definirlo, come si accorse già Platone, che infatti non seppe mai darne una definizione, dalla giustizia, che vuole che nessuno faccia del male agli altri. E mentre ognuno vede il bene solo con i propri occhi, sino ad uccidere credendo di fare del bene, come spesso è capitato nella storia, e capita tuttora, specialmente per fanatismo religioso, il male può essere visto oggettivamente bastando la vecchia norma della giurisprudenza romana neminem laedere, non danneggiare alcuno. La morale è pericolosa perché richiede l'avvicinarsi nel voler fare del bene. La giustizia, al contrario, richiede il rispetto, che significa distanza. E chi rimane distante non uccide. Un'arma da fuoco abolisce la distanza. Meglio l'indifferenza. E' meno pericolosa che il voler imporre una certa concezione del bene, che dipende sempre da valori morali, appartenenti sempre a certe tradizioni culturali, quando non sono i valori dei vincitori.
Tutto questo suo discorso, anzi questa sua breve lezione di filosofia non porta ad alcun risultato positivo, commentò il cappellano. Se lei si fosse sentito vincolato da una norma che lei chiama esterna, mentre si tratta di una norma divina, che dovrebbe essere interiorizzata nella coscienza, non avrebbe fatto ciò che ha fatto. Io ripeto che lei è un allievo di Nietzsche per il suo aver voluto pensare : Dio è morto. Allora tutto è possibile. Ognuno si fa giustizia da sé.
Il professor Petix ebbe uno scatto d'ira. Io non sono affatto allievo di Nietzsche e della sua teoria del superuomo. Se Nietzsche avesse riflettuto sul Diritto Naturale, che non è il diritto del più forte, ma il diritto alla vita, come anche nella catena preda-predatore, dove il predatore uccide non per crudeltà, come fa l'uomo per motivi culturali, ma per il suo diritto alla sopravvivenza, non avrebbe confuso il Diritto Naturale con il diritto della forza. E quello stesso diritto che, in quanto naturale, non può essere della sola natura umana, data l'evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita, è l'unico fondamento della giustizia nella sua norma neminem laedere, dove il limite del Diritto Naturale di uno è il Diritto Naturale di un altro, come nella stessa catena preda-predatore, che non è una negazione del Diritto Naturale, bensì una conferma di esso. E il Diritto Naturale è meta-culturale perché indipendente dai valori morali. Lei, invece, disse il professor Petix al cappellano, ha il cervello tarato dai Vangeli e dalla legge morale del perdono, che uccide la giustizia...
3 commenti:
"Ritengo che sia stato il più grande scrittore di tutti i tempi."
Ci dica un po' perché. Io gli preferisco di gran lunga Tolstoi (e anche Cechov). Ho visto una serie russa di sette puntate su Dostoevskij che ho apprezzato. L'uomo Dostoevskij era un poveraccio, sempre alle prese con gli editori esosi, sempre in bolletta. Perciò giocava alla roulette, era proprio accanito (una volta impegnò persino gli orecchini di sua moglie ...). Da questa sua perversa passione ricavò "Il giocatore" che ho recentemente riletto con piacere, è persino divertente. Quanto ai grandi romanzi non saprei: li divorai da ragazzo, specie L'idiota, ma adesso non ho gran voglia di rileggerli. I personaggi de «I demoni » sono degli squilibrati, quasi tutti. Dostoevskij era poi profondamente cristiano, cosa che Lei non è. Non solo, credeva nella funzione salvifica della Russia per l'occidente corrotto. In occasione del 200. anniversario della nascita leggo non so quanti articoli su Dostoevskij. Ma erano decenni che non ne leggevo, Dostoevskij mi sembra assente. Tolstoi e Dostoevkij non s'incontrarono mai. Erano in un certo senso rivali, ma mentre Dostoevskij apprezzava Tolstoi non ne era ricambiato da quest'ultimo che nel suo immenso diario non gli dedica che qualche riga.
Mi dispiace ma lei non ha capito che Tolstoj era solo un utopista pacifista che proponeva Gesù come modello di comprensione della realtà e incapace di considerazioni fisosofiche sulla crudezza della natura umana. Per questo Dostoevskij lo si ritrova anche nella storia della filosofia come esponente dell'esistenzialismo mentre Tolstoj come filosofo è del tutto inesistente, scisso dalle problematiche dell'esistenza umana anche con riguardo ai problemi della giustizia. Vedo una consonanza tra Dostoevskij e Pirandello a cui fu dato il premio Nobel per la letteratura mentre fu negato ingiustamente a Dostoevskij nonostante fosse stato candidato per esso.
D'accordo, Tolstoi non è un filosofo e i tolstoiani erano patetici. Ma era lo stesso un grande scrittore, questo non lo può negare (vedi Guerra e Pace e Anna Karenina e alcuni straordinari racconti). Padronissimo Lei di preferirgli Dostoevskij (de gustibus). Ho letto recentemente un vecchio libro di George Steiner, recentemente scomparso, dal titolo: "Tolstoi o Dostoevskij" . È uno studio veramente approfondito delle loro opere e la conclusione quasi ovvia è: Tolstoi E Dostoevskij. Sono entrambi grandi e necessari.
P.S. Steiner sostiene che Dostoevskij meriterebbe la fama che ha anche se avesse scritto solo le "Memorie del sottosuolo". Io non le ho (ancora) lette. Condivide il parere di Steiner e me le consiglia caldamente?
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