La nuova legge permette l'inseminazione eterologa con anonimato dei donatori di sperma (da considerare degli scellerati). Ma la stessa legge aggiunge che bisogna aggiungere la tracciabilità del donatore. Che significa tracciabilità? Potrà un giorno il figlio conoscere il suovero padre biologico? Ci si mette di mezzo una politica da pazzi. Ricordiamo il caso storico di Totò, che nacque da padre anonimo (N.N.) e che insistette per sapere dalla madre chi fosse suo padre, che alla fine riconobbe il figlio sposando la madre. Era figlio del marchese Giuseppe De Curtis. Lasciamo perdere il suo successivo accanimento nell'essere riuscito, tramite una ricostruzione araldica, a farsi riconoscere giudiziariamente come discendente da una famiglia di principi di Bisanzio.
Nato figlio.stop.
soldato: O.K.
Nome John.stop.
soldato:O.K.
Peso 3kg. stop.
soldato:O.K.
Pelle nera.stop.
soldato: O Kazzo!
UN CELEBRE PRETENDENTE AL TRONO DI BISANZIO: IL ...
Questa legge è da pazzi perché costringe una donna a non sapere quale sia il patrimonio genetico del padre biologico, e scellerata la donna che accetta di avere un figlio da uno sconosciuto senza sapere chi sia il vero padre biologico e le eventuali malattie genetiche che il figlio possa avere ereditato dallo sconosciuto padre biologico. E' già una disgrazia il nascere, e se ne vogliono aggiungere altre. Impedendo così al figlio di avere una anamnesi medica. Si dice che si nasce dall'amore. Questa è più grossa stronzata (non senso linguistico) che si possa dire. Si nasce o per sbaglio o dall'egoismo (specialmente della donna, che vuole riempire l'utero almeno una volta per sentirsi realizzata. Infatti l'80% delle separazioni avviene per richiesta delle mogli, che dopo avere avuto un figlio, giungono a considerare il marito un estraneo, uno stallone di cui si sono servite). Nessuno ha mai chiesto di nascere. Nasciamo tutti da una dura selezione naturale di milioni di spermatozoi che corrono verso l'ovulo per suicidarsi tranne uno (o due per raro parto gemellare). Ammesso e non concesso che sia giustificabile l'inseminazione eterologa (con donazione di spermatozoi o di ovuli da parte di uomini o donne sconosciuti) è ancora più pazzesco che non si abbia diritto di scegliere le caratteristiche del futuro nascituro con un esame del DNA. Cosicché non si potrà nemmeno sapere a quale razza appartenga lo sconosciuto padre biologico. Anche questo è il risultato dell'ideologia della società multiculturale e multirazziale. La cosa mi fa ricordare la storiella di un soldato americano, bianco, che, trovandosi in missione di guerra, riceve un telegramma dalla moglie:Nato figlio.stop.
soldato: O.K.
Nome John.stop.
soldato:O.K.
Peso 3kg. stop.
soldato:O.K.
Pelle nera.stop.
soldato: O Kazzo!
Io mi domando se la politica abbia il dovere di seguire le pretese di quei pazzi di seminare decine o centinaia di figli che non conosceranno mai.
Già nel 2006 pubblicai un libro in cui affrontai anche questo argomento (Scontro tra culture e metacultura scientifica). Ecco il testo.
Si
vede come la morale, che vorrebbe che gli embrioni non venissero
distrutti, in quanto individui in potenza, si sostituisce al diritto,
che vuole che non si provochino dei danni al nascituro facendolo
nascere da un embrione possibile portatore di malattie ereditarie. La
politica, corrotta dalla morale, può arrivare persino a queste
forme di follia. La premessa di tale follia è che la vita sia
comunque un bene, se pur non richiesto, anche se si nasce già
segnati da malattie. Oppure che si debba rispettare nell’embrione
la dignità della persona umana, per cui la legge ha voluto in
Italia la follia dell’impianto di tre embrioni, non potendosene
distruggere alcuno. Ma a tal proposito noi abbiamo immaginato, come
si fa in fisica, una condizione ideale. Si immagini che con mente
divina si possa avere conoscenza del futuro dei tre embrioni. Che il
primo sia destinato a diventare un grande scienziato, il secondo un
grande filantropo, e il terzo un grande criminale. Dal punto di vista
di una morale utilitaristica, facendo il rapporto costi\benefici, si
potrebbe preferire far diventare individui tutti e tre gli embrioni,
se, per esempio, la scoperta scientifica della cura di una grave e
diffusa malattia può giovare ad un numero altissimo di
persone o se l’opera del grande filantropo apporterà dei
benefici a moltissimi individui. Ma ciò comporterebbe
l’accettazione a priori di un crimine, anche se la vittima del
criminale non avrebbe il dovere di sacrificarsi per la vita degli
altri, in base alla considerazione che il suo diritto naturale alla
vita non può essere inferiore a quello dello scienziato e a
quello del filantropo. E’ evidente che chi attribuisce dignità
di vita all’embrione per il solo fatto di essere umano
attribuirebbe a priori dignità di vita anche al criminale, non
importando che egli sia la negazione del diritto alla vita della sua
vittima. Quando si continua a parlare di dignità dell’uomo,
che non può esistere in astratto, ma in concreto, perché
la dignità, con il rispetto, bisogna meritarsela, si continua
ad alimentare una vuota retorica umanistica che ha fatto il suo
tempo. . .
Non
è giustificabile, al contrario, l’inseminazione artificiale
eterologa perché il nascituro, non potendo avere conoscenza
del padre o della madre naturale, verrebbe danneggiato perché
privato del suo diritto naturale di conoscere il patrimonio genetico
di ambedue i genitori in relazione alla necessità di una
anamnesi medica che faccia riferimento ad esso. Si aggiunga il danno
psicologico, in alternativa alla menzogna perpetua avallata dalla
legge, derivante dalla scoperta da parte del figlio di non poter
conoscere il suo vero padre o la sua vera madre, con le conseguenti
possibili turbe psicologiche che durerebbero per tutta la vita. E ciò
in conseguenza dell’egoismo di chi vuole un figlio ad ogni costo,
accampando un falso diritto alla paternità o alla maternità.
Per
questo motivo deve essere vietato alla madre di abbandonare in
ospedale sotto la garanzia dell’anonimato il neonato, dovendosi
sempre garantire al figlio la possibilità di conoscere la sua
vera madre se egli lo richiedesse o fosse necessario sul piano di un
anamnesi medica. Per lo stesso motivo la madre deve essere costretta
dalla legge ad indicare il padre del neonato da sottoporre alla prova
del DNA, anche se ciò non comporterebbe da parte del padre e
della madre naturali l’onere di provvedere materialmente al neonato
abbandonato, da affidare successivamente ad altra coppia, potendo
nell’adozione avere anche una vita migliore.
Se
si considerassero tutti questi aspetti non si farebbe tanto baccano
sul diritto alla vita degli embrioni, che non chiedono certamente di
nascere, come se la vita fosse un bene ancor prima di nascere (o di
essere concepiti), e non lo fosse invece soltanto in relazione al
fatto che, una volta nati, come dice Hobbes, la morte appare “il
massimo dei mali naturali”. Si considera solo il passaggio dal
nulla all’essere (cioè alla nascita o al concepimento), per
trarre da ciò un bene (la vita) come guadagno, senza
considerare il successivo passaggio dall’essere al nulla, con la
perdita dell’asserito bene della vita. La somma totale è
pari a zero. Anzi, considerando in più l’esperienza negativa
della morte, che non nascendo si eviterebbe, la
somma è qualitativamente negativa.
Ma, una volta nato, ognuno si affanna, già dal momento del
piacere della suzione del latte materno, a ricercare dei beni per la
tendenza naturale di ogni organismo a conseguire il proprio
benessere, come “ciò a cui ogni cosa tende” (Aristotele,
Etica nicomachea,
I, 1) e a “fuggire quel che per lui è male, specialmente poi
il massimo dei mali naturali, cioè la morte” (Hobbes, De
cive, I, 7). La vita
è la condizione esistenziale che porta a conseguire dei beni.
Essa, pertanto, non è di
per sé un
bene. Appare tale soltanto di riflesso, perché, una volta
nati, la morte è certamente un male, perché perdita di
tutto. Ma queste considerazioni, pur ovvie, non possono entrare nella
testa dei cosiddetti esperti del Comitato nazionale di bioetica di
nomina ministeriale. A maggior ragion non possono entrare nella testa
della gente comune, plagiata dalla retorica dei mass
media fondata sui
luoghi comuni dei non sensi linguistici, che impongono di pensare che
la vita sia di per sé un bene, e che dunque essa possa essere
donata.1
Oltre tutto, se fosse di per sé un bene, non esisterebbero i
suicidi. Chi si suicida non riesce più a conseguire dei beni
dalla vita. Per lui si forma un corto circuito causato
dall’impossibilità di conseguire ulteriormente dei beni, a
causa del prevalere di un danno, che può essere anche la
consapevolezza della mancanza di senso della vita. Le religioni
pongono riparo alla disperazione che può nascere dal prevalere
del sentimento oscuro della mancanza di senso della vita sulla
naturale tendenza dell’organismo a conservarsi in vita. Infatti gli
animali non umani non si suicidano.
1
Forse, proprio a causa della mancanza di senso dell’espressione
“donare la vita”, Platone, per ovviare a ciò, recepì
dalla tradizione pitagorica ed orfica la dottrina della
metempsicosi, che presuppone, non soltanto che l’anima sia
coeterna con il mondo e che essa sia soggetta a cicli di
reincarnazione, ma che essa possa trasmigrare, per punizione, in
forme di vita inferiori, entro uno stesso ciclo del mondo, per cui i
genitori sono soltanto lo strumento involontario di un destino già
segnato per l’anima. Sia Platone che Aristotele ripresero da
Eraclito il concetto di grande anno (10. 800 anni), che rappresenta
quel ciclo del mondo dopo il quale le cose e gli eventi si
ripresentano e si ripetono come nel ciclo precedente, dovendo
rinascere gli stessi individui. Tale pensiero fu conservato nel
neoplatonismo di Plotino (III secolo .d. C) e della sua scuola, sino
a Proclo (V secolo) .
Fedecondazione eterologa al buio
Giovedì il decreto in consiglio dei ministri
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