lunedì 23 agosto 2021

GIOVANNI SARTORI: LA DEMOCRAZIA NON E' SEMPRE ESPORTABILE

«La democrazia è esportabile ma non sempre e non ovunque»

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di GIOVANNI SARTORI

Tre scritti del 2007, 2011 e 2015 di Giovanni Sartori illustrano le tesi dello studioso, a lungo editorialista del «Corriere della Sera», su un tema la cui attualità è rilanciata dai fatti dell’Afghanistan

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Un combattente talebano a Kandahar, Afghanistan, il 17 agosto 2021 (Epa)

Il riaprirsi della questione afghana ha risollevato drammaticamente il problema della democrazia e del ruolo dei Paesi occidentali nei confronti degli altri popoli. Temi più volte affrontati da Giovanni Sartori (1924-2017) sia nei suoi libri che negli editoriali sul «Corriere». Qui sotto, tratti da tre scritti, i passi che ne sintetizzano il pensiero su tale argomento, selezionati dal professor Marco Valbruzzi.

La democrazia – e più esattamente la liberal-democrazia – è una creazione della cultura e della civiltà occidentale. La «democrazia degli altri» (per usare la formula di Amartya Sen) non c’è e non è mai esistita. Pertanto il quesito se la democrazia sia esportabile è un quesito corretto. Al quale si può obiettare che questa esportazione sottintende un imperialismo culturale e l’imposizione di un modello eurocentrico. Ma se è cosi, è così. E allora torniamo al punto: la democrazia è esportabile? Rispondo: in misura abbastanza sorprendente, sì; ma non dappertutto e non sempre. E il punto preliminare è in quale delle sue parti costitutive sia esportabile, o più esportabile. In questa ottica il concetto di liberal-democrazia deve essere scomposto nei due elementi – liberale e democratico – che lo compongono. La componente liberale è «liberante»: libera il demos dalla oppressione, dalla servitù, dal dispotismo. La componente democratica è, invece, «potenziante», nel senso che potenzia il demos. Quello che qui ci interessa è che la prima componente (quella liberante) è la condizione necessaria sine qua non della liberal-democrazia, e alla stessa stregua ne è logicamente l’elemento definiente (che la definisce), mentre la componente democratica ne è l’elemento variabile, che ci può essere ma anche non essere.

Ciò precisato, torniamo quindi alla esportabilità. Se la demoprotezione (cioè, la componente liberale) è l’elemento necessario-minimo della liberal-democrazia, ne consegue che ne dovrebbe essere anche l’elemento universale, o comunque più universalizzabile, più facile da esportare. Questa esportazione può avvenire per contagio, e quindi in modo endogeno, oppure può risultare da una sconfitta militare ed essere un trapianto imposto con la forza. Gli esempi più citati di democrazia costituzionale imposta con successo dalle armi e da una occupazione militare sono, a seguito della seconda guerra mondiale, Giappone, Germania e Italia. Ma questo è un assemblaggio statistico stupido (che si inserisce in assemblaggi di 20-30 casi ancora più stupidi), nel quale soltanto il Giappone è un caso significativo in forza della sua netta eterogeneità culturale. E qui la lunga occupazione militare americana è stata senza dubbio determinante. Ma il caso del Giappone dimostra più e meglio di ogni altro che la democrazia non è necessariamente vincolata al sistema di credenze e valori della civiltà occidentale. I giapponesi restano culturalmente giapponesi ma apprezzano, allo stesso tempo, il metodo di governo occidentale.

Tuttavia, il caso di esportazione più significativo è quello dell’India, che ha assorbito dalla lunga presenza e dominazione degli inglesi le regole del costituzionalismo britannico e le ha poi mantenute e fatte proprie. Ma l’ostacolo religioso era, in India, più serio e più complesso che in Giappone, per la coesistenza di tre grandi religioni, nell’ordine: induismo, buddismo e islamismo. Qui importa sottolineare che per l’India, come per il Giappone, una eterogeneità culturale non impedisce l’adozione di una democrazia occidentale. La religione non è un ostacolo se e quando può accettare la laicità della politica. Il che spiega coma mai l’India sia una democrazia «importata» che peraltro lascia gli indiani come sono, e cioè culturalmente indiani.

Ricapitolando, non è vero che la democrazia costituzionale, specialmente nella sua essenza di sistema di demoprotezione, non sia esportabile/importabile al di fuori del contesto della cultura occidentale. Però il suo accoglimento si può imbattere nell’ostacolo delle religioni monoteistiche. Un ostacolo che oggi riguarda soprattutto e prima di tutto l’Islam. Perché? Rispondo così: a differenza della risposta all’assalto culturale occidentale dell’India, del Giappone e ormai della Cina, l’Islam a livello di massa è rigido, sclerotizzato, e cioè manca di flessibilità, adattabilità e capacità di risposte creative. Ne consegue che, più l’Occidente laico si ritiene in dovere di «liberare» l’Islam costringendolo alla democrazia, più l’Islam teocratico si ritiene in dovere di liberare la propria fede dalle incrostazioni occidentali e di contrattaccare islamizzando l’Occidente.

A fronte di questa situazione, gli americani che si aspettavano di essere accolti in Iraq (o in Afghanistan) come liberatori, come erano stati accolti in Europa nel 1944-45, non avevano capito nulla dei problemi nei quali si stavano cacciando. In merito all’Iraq, probabilmente Bush credeva davvero che Saddam Hussein fabbricasse armi nucleari; ma in ogni caso credeva che la sua guerra avrebbe instaurato una democrazia a Bagdad. Poverino, l’intelligenza non è mai stata il suo forte. Lo stesso discorso vale per l’Afghanistan, dove il problema non era di trasformare un millenario sistema tribale in uno Stato democratico, ma di impedire che diventasse, o ridiventasse, uno «Stato canaglia» nel quale il terrorismo islamico possa liberamente produrre micidiali armi chimiche e batteriologiche. A conti fatti, a me pare che gli americani, e con loro gli occidentali, abbiano sbagliato i conti.

Con tagli e aggiustamenti da:
- G. Sartori (2007), Democrazia. Cosa è, Milano, Rizzoli
- G. Sartori (2015), La corsa verso il nulla. Dieci lezioni sulla nostra società in pericolo, Milano, Mondadori
- G. Sartori, Illusioni e delusioni, in «Corriere della Sera», 31 gennaio 2011

1 commento:

Giancarlo MATTA ha detto...

Giovanni Sartori era un sagace sociologo e commentatore di politica.
Era tenuto in grandissima considerazione dai "progressisti" nostrani fin che criticava -non del tutto a torto- Berlusconi e in generale il Centro-Destra.
Quando -negli ultimi suoi anni- scrisse pagine molto dure contro l'"islam" ed il pericolo che esso rappresenta per l'Occidente, i "progressisti" nostrani gli diedero del pazzo... .